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lunedì 17 gennaio 2011

Biologico: come dietro ad un aggettivo si possono fare affari

Ci sentiamo sempre più minacciati da quello che non è naturale. Messaggi che arrivano da ogni parte, ci incutono il sospetto che quanto mangiamo non è naturale. Poco a poco si è introdotto il termine "biologico", come a salvaguardia di valori che non abbiamo chiari, ma ci fa essere alla moda.

Biologico, appunto. E qui tocchiamo l'altra parola chiave, il nuovo tabù. Abbiamo un po' temporeggiato, per la verità, perché c'è da aver paura. Chi può parlarne male oggi? Chi può attaccare il nuovo impero che regna sovrano su tutte le melanzane? Chi può scalfire l'egemonia culturale del peperone senza conservanti né coloranti? L'Italia vanta il primato in Europa per quanto riguarda l'agricoltura biologica. Il biologico va, funziona, piace, sfonda. I giovani imprenditori puntano sul biologico.

Finché bio vorrà. E chi li ferma più? Negli ultimi tempi, per la verità, c'è stato un leggero rallentamento. Piccoli segnali, piccole crisi, qualche dietrofront che ha sorpreso un po' tutti. «È colpa dell'ideologia che si è messa di mezzo. I fondatori del biologico si sentono più militanti dell'anticapitalismo che imprenditori» attacca già nell'autunno 2004 Roberto Pinton, coordinatore del portale verde Greenplanet e profondo conoscitore del mondo bio. «Questo ha prodotto una classe dirigente in gran parte inadeguata e autoreferenziale, malata di protagonismo e di personalismo, incapace di affrontare le esigenze emerse dalla crescita del mercato.» Bella analisi. Ma come si conclude il dibattito? «Bisogna costruirsi una nuova identità» dicono i titolari di un gruppo d'imprese, scrivendo al ministro delle Politiche agricole. Una nuova identità? Sì, forse. Ma intanto si costruiscono nuovi timbri, .nuovi marchi, nuovi piani di sostegno. In pratica, si chiedono nuovi soldi.

L’agricoltura biologica è una ideologia, non una scienza

Ma poi il biologico fa davvero bene a chi lo mangia? Sul fatto si comincia da più parti a sollevare dubbi. Anthony Trewavas, professore di biochimica all'università di Edimburgo, ha pubblicato uno studio che fin dal titolo la dice lunga: Miti urbani sull'agricoltura biologica. «L'agricoltura biologica è un'ideologia, non una scienza», dice. E spiega: «L'ideologia deriva dal presupposto che le cose naturali sono buone e le cose artificiali difettose». Ma è davvero così? Le tenie, i pidocchi e le zanzare che portano la malaria non sono forse naturali? E gli antibiotici, i vaccini e gli anestetici non sono forse artificiali?

«I pesticidi sintetici sono usati da cinquant'anni» scrive Trewavas «e in questo periodo l'incidenza del cancro è diminuita del 15 per cento e quella del cancro allo stomaco, tipica patologia alimentare, è diminuita del 50 per cento.» «I cibi biologici non sono più salutari o sicuri di quelli prodotti dall'industria agroalimentare convenzionale» scrive il «Diario» al termine di una documentata inchiesta (Che bio ce la mandi buona). E persino l'Unione Europea ammette i limiti del biologico, pur continuando a finanziarlo lautamente. Infatti fa normativa comunitaria che disciplina il settore (regolamento Ce 2029/91) all'articolo 10 recita: «Nell'etichettatura e nella pubblicità non possono essere inserite affermazioni che suggeriscano all'acquirente che l'indicazione di alimento biologico costituisce una garanzia di qualità organolettica, nutritiva o sanitaria superiore».

Ma allora, se non c'è garanzia di qualità organolettica, nutritiva eccetera superiore, perché dobbiamo portare soldi alla causa biologica? Perché, in altre parole, dobbiamo pagare zucchine e pomodori molto di più? «Non ci sono basi per affermare che il cibo biologico sia più sano, ma i nostri consumatori lo credono» ha detto alla Conferenza europea sull' agricoltura biologica, con uno slancio di sincerità, il responsabile di Sainsbury, una grande catena di supermercati inglesi. Lo credono, e tanto basta per far diventare tutto più caro. Quando va bene i prodotti biologici ci costano il doppio, ma possono arrivare tranquillamente a costare tre volte di più (come nel caso dei meloni e dei pomodori, per restare al nostro esempio). Soldi, insomma. Perché spenderli, se ciò che acquistiamo non ci dà nessuna «garanzia di qualità organolettica o nutritiva superiore»?

«La mania del cibo biologico è costruita su un mito» scrive sul «Times» di Londra Dick Taverne, presidente del Sense About Science. «Essa ha preso avvio da una bufala scientifica, ha continuato a imperversare senza ragione, perché per nessuna delle affermazioni fatte in merito a questo argomento sono addotte delle prove valide. E se continuerà a prendere piede in questo modo, arriverà a danneggiare la popolazione. Alcuni sostengono che non è un problema se il cibo biologico costa di più, fino a quando i consumatori saranno disposti a pagare e i coltivatori saranno disposti a trame guadagno. E invece questo è un problema: se la frutta e la verdura biologiche saranno così costose, infatti, e se i prodotti biologici conquisteranno una fetta sempre maggiore di mercato, le famiglie a basso reddito saranno costrette a mangiare sempre meno frutta e meno verdura. Così facendo perderanno il loro sistema protettivo nei confronti del cancro.»

Sarebbe un bel paradosso. O, per lo meno, un altro bell’esempio di effetto perverso. Si mitizza il naturale a tutti i costi per stare meglio, e si ottiene, complessivamente, di stare peggio. Si celebrano i prodotti che non fanno venire il cancro, e poi invece si rischia che il cancro colpisca ancor di più. Questo succederà se si continuano a vantare i meriti (inesistenti) del bio per poter vendere frutta e verdura a prezzi più alti.

Nessun beneficio per l’ambiente

Secondo le ricerche di Bruce Ames, il più autorevole studioso americano della materia, il 99,9 per cento delle tossine che ingeriamo derivano dalle piante stesse e non dai prodotti utilizzati in agricoltura. Mediamente, dice Ames, una tazza di caffè contiene una quantità di tossine naturali superiore al quantitativo di quelle sintetiche che ingeriamo in un intero anno. Avete capito bene: una tazzina di caffè è più tossica di tutta la chimica che ingurgitiamo tramite insalata e pomodori non biologici. Il bio più sano? «L'argomento non è sostenibile» risponde persino Enrico Erba, direttore dell' Associazione italiana agricoltura biologica. «Infatti l'agricoltura biologica non nasce per un problema di salute. Nasce, invece, per un problema ambientale.»

Perfetto, ma l'ambiente davvero trae beneficio dalla diffusione del bio? Citiamo ancora il «Diario», settimanale non certo sospettabile di simpatie antiecologiste: «I fertilizzanti naturali usati in agricoltura biologica, come il letame e i liquami, oltre a essere un concentrato di batteri, contengono azoto che può essere dannoso per il suolo, le acque e gli ecosistemia.Studi condotti in Olanda, Germania e Gran Bretagna hanno mostrato come l'uso intensivo di letame e liquami porti all' eutrofizzazione di laghi e fiumi. Al contrario esistono prodotti chimici come il Round Up, il diserbante più usato al mondo, considerati totalmente innocui dall'Organizzazione mondiale della sanità («È peggio ingerire un cucchiaio di sale che un cucchiaio di Round Up» spiega Enrico Sala, professore di Biotecnologie alla Statale di Milano, uno dei maggiori esperti italiani in materia agroalimentare). Conclusione: «Confrontata con l'agricoltura convenzionale condotta secondo i principi della buona pratica agricola» sostiene Trewavas, «l'agricoltura biologica non ha alcun effetto benefico sull'ambiente».

Fra l'altro, pochi lo sanno, ma nell'agricoltura biologica sono ammessi anche i pesticidi. Solo che si tratta di pesticidi naturali. Tra quelli che si usano comunemente segnaliamo: un batterio chiamato Bacillus Thuringiensis, che secondo ricerche condotte in Francia e Canada causa infezioni polmonari letali nei topi; un insetticida chimico di origine vegetale, il Rotenone, che provoca ai topi il morbo di Parkinson; e il solfato di rame (l'antico «verderame») che da sempre ha rovinato il fegato dei viticoltori. Senza contare il rischio di contaminazione con micotossine, che cresce perché le piante non sono trattate con fungicidi: il mais biologico, per esempio, arriverebbe a contenere, per colpa dei funghi, sostanze cancerogene come le aflatossine in misura fino a venti volte superiore rispetto al mais tradizionale. «Le aflatossine sono il cancerogeno più potente in natura» spiega l' oncologo Umberto Veronesi. «Possono finire nella polenta che mangiamo, ma anche nella carne e nel latte perché di mais si nutrono gli animali.» Nel novembre 2003 la Lombardia ha buttato, per questo motivo, il 20 per cento del suo latte.

Ma, a parte questi casi clamorosi, da cronaca, restano i dubbi su tutta la produzione bio. «Il cibo di cui si nutrono a scuola i nostri figli è biologico» scrive il professor Franco Battaglia dell'Università di Roma Tre. «E che cosa significa? Significa, ad esempio, che se la vacca da latte si è beccata un'infezione, viene certificato che questa sarà curata con l'omeopatia. Non so voi con i vostri figli, ma io evito accuratamente di curare con l'omeopatia un'eventuale infezione di mia figlia. Se poi il prodotto fosse addirittura biodinamico ci verrà certificato che è stato seminato eseguendo movimenti circolari antiorari, assicurandosi che Terra, Luna e Giove fossero ben allineati, e che al seme deposto sia stata cantata la ninnananna.» Ma come si fa a essere davvero sicuri, seguendo il criterio della ninnananna?

Come è facile essere bio

L'unica sicurezza che esiste sul bio è che ci sono molti enti che dovrebbero certificarne la sicurezza. Sono molti quelli ufficialmente autorizzati dal ministero delle Politiche agricole ma a che cosa servono davvero? In realtà hanno un vizio d'origine: sono finanziati da chi dovrebbe essere controllato. Gli agricoltori che chiedono la certificazione, infatti, versano al certificatore una quota d'apertura pratica e una quota annuale variabile, oltre che una percentuale sulle vendite. Fatte le debite proporzioni, è lo stesso meccanismo che regola le società di revisione, quelle che certificano i bilanci delle aziende quotate in Borsa: per avere informazioni su quanto tutto ciò funzioni chiedere ai risparmiatori Cirio e Parmalat.

Ma se anche i controllori volessero essere severi, in contrasto con la loro natura e soprattutto con gli interessi del loro portafoglio, non ci riuscirebbero: si trovano infatti a fare i conti con codici e commi sempre più permissivi. Per ogni norma, c'è una deroga. I bovini veramente bio, dicono le leggi, devono disporre di pascoli, ma solo «tutte le volte che questo sia possibile». Gli animali non possono stare alla catena, ma in alcune aziende invece ci possono stare. I conigli devono stare in libertà, ma non si esclude «l'allevamento in gabbia». E quando persino queste flebili norme sembrano troppo rigide, non è difficile aggirarle.

Il bio è trendy, il bio è ecologista, pacifista, no global, difensore delle piante, della natura e dei poveri disperati. E pazienza se nel sito ufficiale dell'Associazione italiana per l'agricoltura biologica compare la pubblicità della Gemeaz Cusin, multinazionale del cibo, quotata in Borsa, 830 ristoranti, 46 milioni di pasti erogati all'anno, una potenza della finanza cibo, che con i no global non ha nulla a che fare. Pazienza, perché il letame puzza, il denaro dello sponsor evidentemente no.

Ma era davvero così bello il mondo antico?

Contraddizioni? Sì, il biomondo è pieno di contraddizioni. Ma a noi che importa? Siamo tutti molto naturali, naturalisti, biodinamici e certificati senza pesticidi. Al mattino prima di andare a lavorare mangiamo tre kiwi (non troppo maturi) con tre bicchieri d'acqua (a temperatura ambiente) perché fa molto chic. Poi magari andiamo ai ristoranti dove servono frittate di ginestra e biscotti di papavero, pollo ai fiori di acacia, spaghetti alla calendula, viole e gerani come se fossero pane e grissini, perché la cucina con i fiori è l'ultima moda very very vip. E se ci ammaliamo, facciamo come il principe Carlo, seguiamo la terapia del medico Max Gerson: cinque clisteri di caffè al giorno, succo di carota, broccoli e mela, oltre che iniezioni di estratto di fegato. E se non serve a nulla, come dice la scienza ufficiale, che importa? Magari andiamo al Creatore, però lo facciamo in modo ecologicamente corretto.

Il principe Carlo, fra l'altro, sull'ecologia ha costruito un piccolo impero economico. Riesce a far passare come prodotto ambientalista anche l'acqua minerale proveniente dal castello della regina in Scozia. E poi sforna, attraverso 40 diverse aziende, una serie di prodotti principescamente bio: biscotti all' avena, allo zenzero e agli agrumi, selezioni di cioccolato al limone e alla mela, frollini al burro, gelati alla vaniglia e alla fragola, miele e Christmas pudding. Non è forse questo uno splendido ritorno alla vita dei nostri nonni? Carlo s'entusiasma e si presenta in modo regale al Salone del Gusto di Torino (ottobre 2004). Colazione con brioche e robiola di Roccaverano, per cena pollo alla cacciatora e peperoni alla bagna cauda, per concludere un caffè della moka. Il principe è contento: in fondo, si sa, lui, come dice uno dei ristoratori che lo serve, «ama le cose all'antica». Per questo si dedica a Camilla e al biologico.

Ma il biologico sarà davvero un ritorno all'antico? O solo una moderna assurdità? Tutta questa fantasia sul Mulino Bianco, lo Scaldasole, la campagna delle favole, il castello della regina con l'acqua minerale e le stalle dove si consumavano «castagne e vino» e «si alimentava il senso di comunità» ... Ma che senso di comunità? Quello che mandava i bambini a lavorare a sei anni? Quello che se arrivava la peronospora dovevi emigrare in Australia? Quello che se veniva giù una grandinata i contadini morivano di fame? Ma era davvero così bella, la vita di una volta? Quanto resisterebbero le anime belle e nostalgiche se fossero davvero proiettate nel passato? Forse nemmeno qualche minuto.

sabato 15 gennaio 2011

L'acqua del Pianeta

Il nuovo secolo si è aperto all'insegna dell'emergenza acqua. Nel mondo oltre 1 miliardo e 200 milioni di persone non hanno acqua potabile ed altri 800 milioni non dispongono di un rubinetto in casa. Ogni anno quasi 10 milioni di individui muoiono per mancanza d'acqua o per avvelenamento idrico, bevendo cioè acqua inquinata o contaminata.

Secondo alcuni esperti, se non si corre subito ai ripari, entro il 2025, su una popolazione mondiale di 8 miliardi di persone, 2 miliardi e 300 milioni non avranno acqua potabile; secondo alcuni la situazione diventerà gravissima nel giro di un decennio, perché oltre la metà della popolazione del pianeta soffrirà per la carenza di acqua potabile e per usi agricoli.

Per comprendere bene il problema, va tenuto presente che ogni anno nel mondo si consumano 3.500 chilometri cubi d'acqua dolce e che nel 2025 ne serviranno almeno 2.000 in più. I due terzi dell'acqua finiscono nell'agricoltura, il 23% va all'industria e solo l'8% è usato per scopi domestici. Ben metà dell'acqua utilizzata in agricoltura va dispersa a causa di sprechi, di perdite delle condotte idriche e per inquinamento; questo problema riguarda in maggiore o minore misura tutti i paesi del mondo. Nel nostro paese sono ancora utilizzati vecchi acquedotti ormai diventati "colabrodo", che disperdono preziosa acqua lungo il tragitto dalle fonti ai rubinetti di casa, costringendo in molte zone meridionali, durante i mesi più caldi, un drastico razionamento della fornitura. In zone come la Puglia, ad esempio è attualmente in progetto la costruzione di un grande acquedotto sottomarino proveniente dall'Albania.

E' interessante notare come il consumo d'acqua nel mondo ricalchi perfettamente le condizioni economiche e sociali dei vari paesi: un americano, ad esempio, consuma in media ben 425 litri d'acqua al giorno mentre un europeo 165 litri.

Ogni italiano consuma mediamente 380 litri d'acqua al giorno, ma c'è una bella differenza tra le regioni del nord e quelle del sud, minacciate quest'ultime dalla desertificazione. Attualmente vi è una scarsissima informazione sul problema delle risorse idriche mondiali e questo ci lascia perplessi, considerato che l'acqua è un bene assolutamente essenziale per la vita; si pensi che una persona adulta può sopravvivere senza cibo per un mese, ma senz'acqua solo una settimana.

Un rimedio per procurarsi più acqua potrebbe essere quello di destalinizzare l'acqua del mare, ma questa operazione comporta un tale spreco di energia che solo i paesi produttori di petrolio possono permettersi; in ogni caso, poi l'acqua così ottenuta avrebbe un costo esagerato. Una possibile soluzione, decisamente più economica, è quella di riciclare tutta l'acqua dolce usata nei centri urbani e che va a finire nelle fogne, disperdendosi. A tale riguardo già oggi in Israele il 70% degli scarichi, al termine di un particolare trattamento, viene usato in agricoltura, per l'irrigazione dei campi. Qualcosa del genere hanno tentato di fare anche il Messico ed il Cile, ma l'errore di non aver provveduto a depurare preventivamente le acque reflue ha causato gravi epidemie di tifo.

Un provvedimento da adottare subito è quello di razionalizzare l'erogazione idrica in vaste regioni, in modo da evitare che alcune zone abbiano acqua a sufficienza, ma grandi perdite lungo il percorso, mentre altre soffrano la sete. Questo comporta seri problemi sul piano politico. L'Egitto, ad esempio, attinge la sua acqua dal Nilo ma le sorgenti del fiume sono in Uganda, Etiopia e Sudan; questa situazione favorisce le costanti pressioni ed i ricatti da parte dei paesi che controllano di fatto l'apertura e la chiusura dei "rubinetti".

L'Egitto fra 25 anni conterà una popolazione di 220 milioni di abitanti e, perciò, avrà bisogno di sempre più acqua per usi civili e, agricoli, ma questa necessità andrà contro gli interessi dell'Etiopia, altrettanto impegnata a sviluppare la sua agricoltura e certamente non sarà vista di buon occhio dagli altri stati africani custodi delle sorgenti.

Un altro esempio ci viene dalla regione mediorientale: la Turchia è impegnata in un processo di distensione con Giordania, Libano ed Israele e, in cambio di pace con annesse varie concessioni dei vecchi nemici, è disposta ad offrire la sua acqua facendola viaggiare sulle strade del petrolio; anche Iran ed Iraq, altri paesi assetati, potrebbero partecipare ai negoziati. L'Iraq, in particolare, accusa la Turchia di aver imbrigliato il fiume Tigri con una serie di dighe, riducendolo ad un rigagnolo quando entra in territorio iracheno.

La popolazione curda non riesce ad ottenere la tanto sospirata indipendenza anche perché si troverebbe a controllare sia il Tigri che l'Eufrate che offrono acqua ad un vasto territorio. Gli stessi rapporti fra Israele e Siria dipendono dall'acqua: il fiume Giordano, che attraversa la regione, scende dalle alture del Golan occupato dagli israeliti a spese dei siriani attraverso la "guerra dei sei giorni" del 1967; il Golan infatti, ha il potere di aprire e chiudere il rubinetto ed è perciò molto forte ai tavoli delle trattative.

Lo stesso discorso vale per il conteso lago di Tiberiade. L'acqua, insomma, per certi aspetti è diventata più importante del petrolio e qualcuno l'ha già ribattezzata l'oro blu. Se ritorniamo ancora più indietro nel tempo, ci rendiamo conto che intere civiltà sono scomparse a causa dell'esaurimento delle loro fonti idriche e del conseguente processo di desertificazione: l'Impero mesopotamico, la Cina del fiume giallo, la civiltà Arrapan del fiume Indo, il regno Chimu in Perù, la cultura Hohokam in Arizona (USA), sparirono perché le loro economie si basavano evidentemente sull'agricoltura e quando le fonti idriche si esaurirono il deserto ingoiò tutto.

Con il progressivo impoverimento delle falde acquifere e con tutte quelle fonti d'inquinamento parlare di acqua potabile vuol dire essere degli inguaribili ottimisti. Fra il 17 ed il 22 marzo 2000 si è svolto all'Aja un forum mondiale sull'acqua, che ha adottato il significativo slogan "From Vision to Action". La conferenza ha chiesto ai Governi mondiali un radicale cambiamento nella gestione dell'emergenza idrica affidando la captazione, la distribuzione, la gestione integrata fino al riciclo a società internazionali specializzate in grado di garantire la qualità dell'acqua e la sua distribuzione a tutte le popolazioni; questo comporterà certamente costi aggiuntivi ma servirà a garantire a tutti un bene primario, razionalizzando l'uso mondiale dell'oro blu.

Già attualmente intorno all'acqua ruota un business di 500 mila miliardi di lire annue tra acquedotti, dighe, depuratori, impianti di riciclo e quant'altro; ciò significa la necessità di un oculato controllo internazionale di una risorsa indispensabile per la vita. La FAO ha un dipartimento che si occupa di frumento,terra e acqua.

L'Italia ha offerto un importante contributo al forum, proponendo per bocca del Ministro dell'Ambiente che l'annullamento del debito dei paesi poveri da parte di quelli ricchi avvenga in cambio della realizzazione di mirati progetti ambientali,riguardanti anche il saggio uso delle risorse idriche, specialmente in caso di loro alterazione a seguito di inquinamento. Il nostro futuro dipende, dunque, anche dall'acqua e, soprattutto, dalla possibilità di accesso ad acqua pulita da parte di tutte le popolazioni.

Dove non c'è acqua o ve ne è in minima quantità e, per giunta, inquinata, si diffondono rapidamente fame e malattie; pertanto, riuscire a gestire le risorse idriche a livello di organizzazioni internazionali significa contribuire alla crescita dei paesi del terzo e del quarto mondo. In fondo, a ben guardare, salvare loro significa salvare anche noi stessi.

Si tratta di un affare che si basa sulla vendita di un bene vitale e pubblico che raramente si dovrebbe pagare. Le multinazionali coinvolte si appropriano dell'acqua dei Paesi dove si stabiliscono. Così, Danone, Nestlè o Coca-Cola, stanno facendo il grosso dell'affare con l'acqua di altri Paesi, e in misura molto inferiore con la propria acqua. Il che significa, a seconda della legislazione di ogni paese, che l'acqua con la quale le multinazionali trafficano passa da proprietà della nazione a proprietà privata.
Questo non è un affare qualunque, soprattutto se si considera che il mercato dell'acqua in bottiglia è maggiore di quello del petrolio. Come affermò il precedente Presidente della Perrier (una marca della Nestlè): "Tutto quello che si deve fare è portare l'acqua in superficie e poi venderla ad un prezzo maggiore del vino, del latte o anche del petrolio".

A livello mondiale, questo mercato è stimato in 22 miliardi di dollari all'anno, da qui ne consegue una competizione"accanita" (come l'ha definita Nestlè per il caso del mercato nord americano).
Uno dei motivi per cui il mercato dell'acqua in bottiglia ha avuto tanto successo è per la presunta sicurezza di poter consumare acqua potabile di qualità. Anche se l'Organizzazione Mondiale per l'Agricoltura e l'Alimentazione (FAO) delle Nazioni Unite, ha dichiarato che l'acqua in bottiglia non è migliore di quella del rubinetto.

La conclusione di uno studio del Consiglio per la Difesa delle Risorse Naturali (in inglese NRDC) del 1999 assicura, secondo Barlow e Clarke, che almeno un terzo delle 103 marche di acqua in bottiglia che sono state studiate è contaminata; incluso residui di Escherichia coli e arsenico. Un quarto dell'acqua in bottiglia, aggiunge lo studio, è presa direttamente dal rubinetto e poi processata e purificata fino ad un certo punto, ma in molti Paesi, l'acqua in bottiglia è soggetta a esami e standard di purezza meno rigorosi di quella del rubinetto.

lunedì 10 gennaio 2011

Velocizzare Windows Vista

Premesso che se una cosa nasce male, tutto quello che si fa per rimediare non sarà sufficiente a renderla perfetta, di seguito una veloce lista di consigli per rendere un poco più performante una delle meno riuscite distribuzioni di Microsoft.

Spesso, quando si acquista un nuovo PC, o un nuovo notebook, non si presta attenzione a ciò che occupa risorse, inoltre, spesso, si hanno attivi su Windows Vista dei servizi che non verranno mai utilizzati.

I produttori installano, sui nuovi PC venduti, dei software che nella maggior parte dei casi sono inutili e non verranno mai utilizzati. Il problema è che questi software occupano, oltre allo spazio, delle risorse che potrebbero essere destinate ad altro. Per esempio, è uso comune installare una versione dimostrativa di Norton Antivirus con licenza demo. Il software è attivo e perfettamente funzionante per i primi 30/60 giorni, poi non funziona più a meno che non si acquista una regolare licenza. In quanti, dopo questi giorni, disinstallano la copia dell’antivirus? In quanti installano un nuovo antivirus non preoccupandosi del fatto che il vecchio è ancora in esecuzione (se non viene segnalato dal nuovo)?

Oltre a Norton Antivirus, sulle nuove versioni di Windows Vista, Microsoft, a causa di regole imposte dall’antitrust, è costretta ad installare, insieme alla propria sidebar, anche Google Desktop, Firefox, Google Toolbar e altre mille diavolerie. Ma in quanti utilizzano questi software?

Supponiamo di utilizzare realmente Firefox (che comunque consiglio di aggiornare subito, poiché la versione solitamente non è l’ultima), Google Desktop, Toolbar e sidebar di Vista le utilizzerete?

Ecco, per velocizzare Windows Vista, per prima cosa, si può fare un passaggio sul pannello di controllo, sulla voce “disinstalla un programma“, togliendo qualsiasi tipo di software che non ci interessa. Solitamente quelli offerti dal produttore del PC sono quelli firmati dallo stesso. Quindi, se avete acquistato un HP troverete software firmato HP, se avete acquistato un Acer troverete software firmati Acer e così via. Attenzione però, il produttore, quasi sempre, offre anche un software per creare un disco di ripristino di Windows Vista, se disinstallate questo non ci sarà più possibilità di avere una copia del sistema operativo. Quindi, prima di disinstallare, create il disco di ripristino.

Il mio consiglio è quello di disinstallare subito anche i software, offerti in demo, che pensate di non utilizzare o dei quali sapete già che non acquisterete mai una licenza. Lasciarli significherebbe ricordarsi di disinstallarli alla scadenza del periodo di prova, cosa che, solitamente, non succede mai.

Fatto questo possiamo passare ai processi attivi, ovviamente prima di questo passaggio consiglio un riavvio del PC. La lista dei processi può essere trovata sotto “pannello di controllo - Sistema e manutenzione - strumenti di amministrazione - Servizi“. Attenzione però, questi sono tutti i processi avviati o che si possono avviare, inclusi quelli necessari al sistema operativo stesso, quindi non spegnete a caso poiché potreste ritrovarvi con un sistema operativo instabile.

Io ora farò una lista dei processi, attivi di default, che nella maggior parte dei casi non servono. Darò il nome e una breve descrizione, ognuno di voi farà le attente valutazioni e capirà se vale la pena o meno di disattivarli. Oltre a questi servizi ne troverete altri, ripeto di non spegnere a caso se non avete le conoscenze adeguate.

Processi attivi che possono essere disattivati:

* Accesso dispositivo Human Interface: come spiegato da Microsoft, serve a far funzionare alcune tastiere e mouse che utilizzano il Bluetooth;
* Accesso rete: serve esclusivamente se il PC fa parte di una rete; il servizio, infatti, permette di fare il login in un dominio esterno;
* Applicazione di sistema COM+: serve per gestire le informazioni dei componenti basati su COM+, quest’ultimo è un’estensione di Microsoft Component Object Model (COM) e Microsoft Transaction Server (MTS); utile ai programmatori che utilizzano Visual Studio o Visual Basic, inutile per tutti gli altri;
* Browser di computer: tiene traccia di tutti i server presenti in una rete per alleggerire e velocizzare il lavoro, ovviamente se non siete in una rete diventa inutile;
* Controllo Genitori: funzionalità aggiunta in Vista e non presente in XP, si tratta di un parent control in grado di bloccare i siti che non vogliamo far vedere ai bambini. Sembra quasi scontato che se non abbiamo bambini in giro per casa è inutile tenere attivo un parent control;
* copia shadow del volume: permette di creare delle copie di backup di file, se non ci interessa lo possiamo tranquillamente stoppare;
* Provider di copie shadow software Microsoft: legato al precedente, se non volete creare dei backup è un processo inutile;
* servizio segnalazione errori Windows: vi sarete ritrovati sicuramente nella situazione in cui un software smette di funzionare e Windows Vista parte con la ricerca dell’errore; questo servizio fa proprio questo, diagnostica, segnala e dice cosa è successo. Il problema verrà risolto anche senza questo servizio, quindi può essere disattivato;
* Servizio Criteri di diagnostica: ha circa lo stesso funzionamento di servizio segnalazione errori Windows solo che svolge il suo lavoro sui componenti di Windows;
* Host servizio di diagnostica e Host sistema di diagnostica: aiutano Servizio Criteri di diagnostica nel suo compito, quindi arrestando quest’ultimo verranno stoppati;
* Servizio di input Tablet PC: attiva delle funzionalità da tablet, come per esempio la gestione degli input tramite penna o touchscreen; se utilizziamo il nostro PC non come Tablet, questo servizio può essere stoppato;
* Servizio Windows Media Center Extender: utilissimo per l’interazione tra il PC e sistemi di Media Center come per esempio le console di gioco o Set top box interattivi; se non utilizzate questi servizi potete tranquillamente disattivarlo;
* Windows Media Center Receiver Service e Windows Media Center Scheduler Service: sono servizi complementari al punto precedente;
* Ricerca di Windows: permette di indicizzare tutto il contenuto del nostro PC, ciò per facilitare la ricerca tramite la casella presente nel menù di avvio, personalmente trovo la funzione molto utile ma se il PC è lento, poiché vecchiotto, o con poca potenza, può essere utile disattivarla;
* Pubblicazione risorse per individuazione: permette di rendere visibile il PC in rete, in modo tale che, quando viene cercato da un altro PC, sia facilmente individuabile; se non esiste una rete è un processo inutile;
* Spooler di stampa: si tratta del servizio che permette di stampare; se non possedete una stampante e pensate che il vostro PC non stamperà mai nulla, è inutile tenerlo attivo; attenzione però perché disattivando questo servizio potrebbero non funzionare alcune funzionalità di altri software, come per esempio imposta pagina di OpenOffice, ecc;
* Temi: sicuramente è il processo che se disattivato si nota di più, si tratta della veste grafica di Windows Vista, se viene disattivato il PC ha le stesse sembianze di Windows NT. Su un PC nuovo, con abbastanza potenza, penso sia inutile disattivarlo, su un PC datato, o con poca potenza, è sicuramente il servizio che va disattivato per primo, anche perché è quello che occupa più risorse.

Inoltre, per avere sempre Windows Vista funzionale, e per evitare di ritrovarsi con il PC pieno di malware, è sicuramente un’ottima idea quella di permettere gli aggiornamenti di Windows stesso e di tutti i software che abbiamo installato. Infatti, non basta aggiornare Windows se poi gli altri software sono fermi a versioni vecchissime, per fare un esempio: aggiornando Windows e lasciando vecchie versioni di Firefox è come se avessimo chiuso bene le finestre di casa, per evitare i ladri, ma avessimo lasciato aperta la porta.

Per questo motivo, oltre che per risparmiare spazio, è utilissimo installare sul proprio sistema solo software che siamo sicuri di utilizzare e non programmi che proviamo e poi ci dimentichiamo di cancellare. In linea di massima, ogni nuovo programma che installiamo, se non venisse continuamente aggiornato, lascerebbe delle falle nel nostro sistema. Allo stesso modo, è una cattiva idea installare software del quale non conosciamo la provenienza poiché al suo interno potrebbe nascondersi malware.

Infine, l’ultimo consiglio che possiamo dare, per ottimizzare Windows Vista (ma lo stesso vale anche per Windows XP), è quello di usare la pulizia di Windows spesso e di deframmentare l’hard disk in modo da avere le informazioni sempre ordinate e velocemente raggiungibili. In realtà quest’ultima è già attiva in pianificazione ma sul mio PC risulta programmata all’una di notte del Mercoledì, sarebbe molto utile programmarla in un orario in cui sappiamo che il PC è acceso.

martedì 4 gennaio 2011

Acqua nel deserto

Un progetto segreto per far piovere nel deserto: secondo il domenicale britannico Sunday Times scienziati al servizio degli Emirati Arabi Uniti hanno generato una serie di acquazzoni nel piccolo stato di Abu Dhabi usando nuove tecnologie pensate per dare all'uomo maggior controllo sul clima.

Il lavoro dei 'maghi della pioggia' sarebbe riuscito a produrre una cinquantina di violenti temporali nella regione orientale di Al Ain dello stato: per lo piu' gli acquazzoni si sono verificati all'apice dell'estate, in luglio e agosto, quando in quella regione non piove affatto.

In alcuni casi la pioggia si sarebbe trasformata in grandine, in altri sarebbe stata accompagnata da tuoni, fulmini e forte vento.

Il progetto, scrive il Sunday Times, sarebbe il primo in grado di produrre pioggia a ciel sereno: a renderlo possibile sarebbe stato l'uso di giganteschi ionizzatori per generarle campi di particelle cariche negativamente nell'aria sopra Al Ain.

Questi campi hanno favorito la formazione di nuvole con la speranza che queste nuvole a loro volta producano pioggia.

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