Per arginare la rincorsa iraniana al nucleare, gli Stati Uniti non escludono l’opzione militare. Certo, la notizia non è nuova: a confermarla, però, è questa volta direttamente David Petraeus, intervistato dalla celebre giornalista della Cnn Christiane Amanpour. Il generale, a capo del CENTCOM (Comando Centrale statunitense) e architetto delle strategie militari in Medio Oriente, è stato molto chiaro: “Il CENTCOM sarebbe quantomeno irresponsabile se non si ponesse la domanda ‘che fare se…’, e se non pianificasse diverse soluzioni per rispondere a svariate eventualità”. Ciò non toglie, ha continuato Petraeus, che la via diplomatica resta la prima scelta di Washington: una linea confermata anche dal capo di stato maggiore Michael Mullen, secondo il quale “certamente tra le nostre opzioni c’è la risposta militare, ma io ho detto molto chiaramente che bisogna trovare una soluzione diplomatica”.
Nell’intervista rilasciata all’Amanpour, Petraeus è andato più a fondo. Se il generale non ha voluto commentare l’ipotesi di un’azione militare da parte di Israele, ha però spiegato che – nonostante il regime abbia rafforzato le infrastrutture e abbia allargato la rete di tunnel sotterranei – i siti nucleari iraniani “potrebbero certamente essere bombardati”. Con quali risultati? “L’effetto di un bombardamento dipende da chi lo conduce, con quali mezzi e dalle capacità difensive di chi viene colpito”, ha spiegato il capo del CENTCOM. La risposta dell’Iran alle dichiarazioni di Petraeus non si è fatta attendere: secondo il portavoce del ministro degli Esteri Ramin Mehmanparast, citato dall’agenzia governativa Irna, le frasi del generale sono “fuori misura e irresponsabili” e i funzionari americani dovrebbero essere più prudenti nelle loro esternazioni.
Mehmanparast ha poi fatto il punto sulla disputa nucleare. “Alcuni paesi neutrali ci hanno chiesto di interrompere l’arricchimento per due mesi”, ha spiegato il portavoce, e “noi abbiamo accolto questa richiesta, nel tentativo di mostrare alla comunità internazionale la nostra buona volontà”. Secondo la stampa israeliana, il governo iraniano avrebbe bloccato l’arricchimento dell’uranio già da un mese: “Se dall’altro lato – ha concluso Mehmanparast – risponderanno alle richieste dell’Iran, allora inizieremo a lavorare, altrimenti prenderemo le decisioni necessarie”. La controproposta di Teheran segue il rifiuto dell’ultimatum posto dall’Onu alla fine del 2009: secondo la bozza dell’Aiea (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica), l’Iran dovrebbe arricchire il proprio uranio in Russia e in Francia, per poi reimportarlo sottoforma di combustibile; Teheran chiede invece che lo scambio avvenga in più fasi e sull’isola di Kish, parte del territorio nazionale.
Le notizie che giungono da Iran e Stati Uniti sembrano confermare quanto scritto giorni fa dall'Occidentale, secondo cui in Iran sarebbero in funzione due bombe ad orologeria: “Una segna il tempo che manca al regime per ottenere l’arma atomica, l’altra indica il tempo necessario all’opposizione per ribaltare il governo di Ahmadinejad”. In questo quadro, l’Occidente appare paralizzato: da un lato Petraeus rilancia l’ipotesi militare, dall’altra Obama lavora all’interno del 5+1 (Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia e Germania) per ottenere una quarta tornata di sanzioni contro Teheran, incurante degli ultimatum posti dalla comunità internazionale. Ma se l’idea di bombardare i siti nucleari appare ancora lontana, ciò che manca è un sostegno più marcato all’opposizione interna: ad oggi, la brutale repressione nelle strade di Teheran ha incontrato solo parole di condanna da parte di Europa e Stati Uniti.
Ecco perché, mentre il tempo scorre, a sbloccare la situazione potrebbe intervenire Israele, il paese maggiormente minacciato dai deliri di Ahmadinejad. L’ipotesi di un attacco unilaterale da parte dello Stato ebraico, paventato da molti analisti, rappresenta però l’ipotesi più pericolosa per il Medio Oriente (e in ultima analisi per lo stesso Occidente): in caso di fallimento – anche solo parziale – dell’operazione, non solo Teheran potrebbe riprendere indisturbato l’arricchimento dell’uranio, ma il regime riuscirebbe a compattare la propria popolazione contro il “mostro sionista”. Se poi Hezbollah e Hamas riprendessero contemporaneamente la guerra contro Israele, l’intera area mediorientale piomberebbe nel buio. Per fortuna, si parla ancora di scenari: per evitarli servirebbe però un’immediata presa di posizione da parte dell’Occidente, a favore dell’Onda verde iraniana e contro ogni ricatto iraniano sul tavolo del nucleare.
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