Ricerca personalizzata

martedì 20 gennaio 2009

Buon Appetito


Immaginatevi questa scena:

Una giovane ragazza entra dal fruttivendolo ed esordisce dicendo:
"Buongiorno vorrei due kili di PR5366, uno di SN422, tre kili di NLT999 e mezzo di CT8749."
Allora le cose sono due: o la negoziante cambierà mestiere oppure prenderà in mano la sua lista o nel migliore dei casi consulterà l'archivio elettronico del suo Computer, per decifrare la richiesta della sua cliente.

Pensate che questa situazione sia tanto distante della nostra realtà? Assolutamente no! Provate ad entrare in un qualsiasi negozio di generi alimentari e provate a leggere, anzi a decifrare l'etichetta che dovrebbe riportare gli ingredienti contenuti nella gustosa merendina o nel gelato confezionato che vi state apprestando a degustare!

Non leggete le etichette?! Malissimo, ma questo è un'altro discorso, e vi consiglio vivamente di visitare le nostre pagine per trovare 1000 motivi per farlo scrupolosamente.

Molto spesso nelle etichette si trovano liste di cifrari indecifrabili di eccipienti, additivi, coloranti e sempre più spesso anche di ingredienti principali: E510, E666, E201, ecc. Pensate che il range va da 1 a 1000, certo non tutti i numeri vengono utilizzati (per adesso), ma sono ugualmente tantissimi. E non parliamo dei pericolosissimi "NUMERI R" che troviamo nei detersivi e in altre cose di uso comune: ogni sigla corrisponde ad un nome con relativa descrizione: R11, CANCEROGENO.
Certo avere solamente la sigla rende indolore la produzione e il consumo di certe sostanze che stanno lentamente e letteralmente avvelenando il nostro pianeta.

Perché?
Perché non scrivere direttamente il nome della sostanza?
Calcio bisolfito.
Probabilmente il nome ci dirà poco, ma non è più diretto?
Riportando il nome non è più facile operare una ricerca personale per sapere che cosa si sta consumando?
Non sono già sufficientemente complicate le etichette?

Come durante le guerre i militari utilizzano codici criptati per non svelare le proprie iniziative e intenzioni al loro diretto avversario, cosi il consumatore si ritrova in un mare di codici che il "nemico" crea per confondergli le idee.

Alla fine di luglio, dopo mesi di ricerche e informazione fatta sull'aspartame potete immaginare il mio stupore nel comprare un gelato dell'Algida e nel leggere sulla sua etichetta quanto segue:
DOLCIFICANTI: E950*, E951*. Le due sigle sono realmente asteriscate.
La cosa mi suona alquanto strana, ma confesso che in un pomeriggio cosi caldo e sfiancante sarebbe passata in cavalleria se non avessi continuato la lettura dell'etichetta. Alla fine di tutta la sfilza di ingredienti e cifre strane leggo: *This product contains a source of phenilalanine. Capito? *QUESTO PRODOTTO CONTIENE UNA FONTE DI FENILALANINA, il che vuol dire che contiene aspartame.
Questo mi viene confermato da una successiva ricerca in internet di una lista dei "NUMERI E".

La cosa mi fa un po' sorridere a allo stesso tempo inquietare: abbiamo cominciato da poco la nostra campagna per fare un po' di luce sull'aspartare e già lo riportano in etichetta con dei "codici misteriosi". E poi il mio pensiero và a tutti quelli che per pigrizia, non conoscenza o per altri migliaia di motivi non sanno individuare questi subdoli tentativi di raggiro diretto al consumatore.

Questa io la chiamo DISINFORMAZIONE operata al danno del consumatore.

E' anche vero che bisognerebbe fare più attenzione nel comprare e soprattutto usare questo e quel prodotto e prendere come abitudine di leggere attentamente quanto riportato in etichetta. Per esperienza personale vi dico che non è facile, in principio questa operazione porterà solo confusione nella nostra testa ma col passare del tempo impareremo a capire cosa stiamo usando BOICOTTANDO i prodotti nocivi a noi e al nostro ambiente.

Speriamo che il legislatore si decida di darci sulle etichette le informazioni di quanto stiamo consuamando, in parole chiare, non in cifre. Nel frattempo riportiamo qui un'elenco dei "codici segreti" per svelare il nome della sostanza corrispondente.
Dove li trovi

lunedì 19 gennaio 2009

Dolcificanti ... scomodi


La FDA (Food and Drug Administration) ha finalmente approvato l’uso di un dolcificante estratto dalla pianta della Stevia, dopo un divieto durato vent’anni.

Le grandi industrie produttrici di bevande, come la Pepsicola® e la Coca Cola® sono riuscite laddove i sostenitori di questo dolcificante naturale non hanno potuto.
Se pensiamo al gusto dolce associamo subito il bianco dello zucchero o il giallo del miele, ma a nessuno verrebbe in mente il verde di una foglia.

Si chiama Stevia la pianta che dolcifica in modo naturale a calorie zero, trecento volte più dolce dello zucchero ed ha una storia strana, oggetto di misteriosi divieti e di lodi appassionate.

La Stevia rebaudiana è originaria delle foreste tra Brasile e Paraguay, gli indios Guaranì la chiamavano erba dolce e ancora oggi la si adopera per addolcire l’infuso più bevuto in quelle zone: il Matè.

Il botanico uruguayano Moises Bertoni così scriveva nel 1899: “è veramente incredibile il potere dolcificante di questa piantina. Un frammento di foglie di pochi millimetri è sufficiente per tenere dolce la bocca per un’ora, un pezzettino di foglia basta per dolcificare una forte tazza di caffè o di tè”.

Viene spontaneo chiedersi come mai in Europa molte persone non l’hanno neanche sentita nominare, mentre in America Latina o in Giappone è ampiamente diffusa. Il problema è legato al costituente chimico principale, responsabile della dolcezza della pianta: lo stevioside, identificato negli anni Trenta del secolo scorso e considerato cancerogeno. Ma forse anche al fatto che la pianta avrebbe costo zero, basterebbe coltivare poche piantine sul balcone di casa per avere il dolce che serve.

Il suo uso nei prodotti alimentari è però vietato in Europa dove nel 1999 la Commissione sugli Additivi nei Cibi dell'OMS e il Comitato Scientifico per gli Alimenti dell'Unione Europea, segnalano la pericolosità della Stevia come additivo alimentare, poiché un suo metabolita, lo steviolo, si è rivelato cancerogeno. Conseguentemente nel febbraio 2000 la Commissione Europea, seguendo le opinioni del Comitato Scientifico per gli Alimenti - SCF, ha deciso che la Stevia rebaudiana (pianta ed estratti secchi) non può essere immessa nel mercato come alimento o come additivo alimentare.

Nel 2004 un gruppo di ricercatori belgi ha organizzato un simposio internazionale sulla sicurezza dello stevioside ed è stata accertata la sua non cancerogenicità, anche perché non viene assorbito direttamente dall’intestino ma viene degradato dai batteri del colon a steviolo, in gran parte eliminato con le urine, comunque le dosi di assunzione alimentare sono infinitamente inferiori rispetto a quelle utilizzate dagli studi. Esaminando i dati disponibili dai Paesi che ne fanno uso anche come infuso, la FAO e l'OMS hanno stabilito una dose massima giornaliera di 2 mg/kg peso corporeo di steviolo. Questo limite, nello studio della FAO, ha un fattore di sicurezza 200, ossia è 200 volte inferiore alle quantità assimilate senza rischi dai soggetti di studio.

Perchè non vengono seguiti gli stessi scrupoli quando si tratta di dolcificanti di sintesi come aspartame o saccarina?

La Stevia è una concorrente diretta dei dolcificanti di sintesi poiché come questi non contiene calorie e ha un grande potere dolcificante. I lavori scientifici che dimostrano l’assenza di tossicità e genotossicità di Stevia, estratti, stevioside e rebaudiosidi sono numerosi e documentati: non si riesce dunque a immaginare quali possano essere le ragioni che ne possano giustificare il rigetto. Gli studi effettuati su ratti e cavie, dimostrerebbero una riduzione della fertilità, ma nei paesi in cui la Stevia viene utilizzata quotidianamente da decenni non sono mai stati riscontrati tali rischi.

Non si capisce come un paese come il Giappone che ha uno dei tassi di incidenza del cancro più bassi nel mondo, nonostante lo stevioside sia largamente usato da venticinque anni.

La questione del possibile effetto cancerogeno dei dolcificanti di sintesi invece è stata più volte sollevata ed è recente uno studio della Fondazione Ramazzini di Bologna che dimostra come l’uso continuativo di aspartame aumenti il rischio di vari tipi di tumore. I risultati inquietano, perché l’incidenza di cancro dovuto all’aspartame sembrerebbe molto elevata soprattutto nel sesso femminile, e avverrebbe per dosaggi di aspartame molto vicini a quelli considerati accettabili nell’uomo.

La EFSA (European Food Safety Authority) ha già indetto una rivalutazione urgente di questi studi per capire il possibile coinvolgimento per la salute umana. Peraltro, proprio l’aspartame aveva ampiamente sostituito sul mercato la saccarina, già documentata come tossica

Studi sperimentali recenti hanno dimostrato invece che lo stevioside non provoca fermentazione, non favorisce la carie, stimola la secrezione di insulina (agendo direttamente sulle cellule beta del pancreas), ha azione antipertensiva, lenitiva per il bruciore gastrico, antifungina.

Forse il boicottaggio della Stevia è davvero solo una questione di interessi.

L’Europa è un grande produttore di barbabietola da zucchero e la Stevia minaccerebbe un mercato già in crisi da tempo, oppure sembra che si stia brevettando il principio attivo della Stevia, per farne un prodotto commerciale, magari persino più costoso dello zucchero. Staremo a vedere…per adesso chi possiede qualche pianta la coltivi con amore, sono diventate introvabili!

giovedì 15 gennaio 2009

Crisi: più sinceri si puo?


QUESTIONARIO PER ASSUNZIONE
Questa domanda di assunzione da McDonalds è stata davvero compilata così, e il candidato è stato assunto sul serio!
1. Cognome/Nome: Jancqueur, Herve
2. Età: 28
3. Posizione desiderata: Orizzontale, e il più spesso possibile. - Seriamente: faccio qualsiasi genere di lavoro. Se potessi permettermi di dettare condizioni, ora non sarei qui.
4. Aspettative di retribuzione: 55 milioni ITL lordi all'anno, più tredicesima, quattordicesima e incentivi extra. Se proprio non è possibile, fatemi voi una proposta, sono disponibile a trattare.
5. Formazione: Sì.
6. Ultima occupazione: Bersaglio preferito di un caporeparto sadico.
7. Ultimo stipendio: Al di sotto del mio livello effettivo.
8. Successi tangibili (nell'ambito di questa occupazione): Un'incredibile collezione di penne biro rubate, attualmente ammirabile nel mio appartamento.
9. Motivi per cui ha lasciato l'occupazione: Vedi domanda nr. 6.
10. Disponibilità a partire da: Fate voi.
11. Orario di lavoro preferito: Dalle 13.00 alle 15.00, il lunedì, il martedì e il giovedì.
12. Ha delle capacità particolari? Naturalmente, ma apprezzabili in un ambiente un po' più intimo di un ristorante fast-food.
13. Possiamo contattare il suo attuale datore di lavoro? Se ne avessi uno, non sarei qui.
14. La sua costituzione fisica le impedisce di sollevare pesi superiori ai 20 kg.? Dipende. 20 kg di cosa?
15. Possiede un'auto? Si. Ma la domanda non è posta correttamente. Dovrebbe essere piuttosto: "Possiede un veicolo in grado di muoversi, e ha la necessaria autorizzazione alla guida?" - La risposta a questa domanda sarebbe indubbiamente diversa.
16. Ha mai vinto un concorso o ottenuto un riconoscimento? Un riconoscimento proprio no, ma ho già fatto un paio di volte terno al lotto.
17. Fuma? Solo dopo il sesso.
18. Cosa vorrebbe fare tra 5 anni? Vivere alle Bahamas con una supermodella straricca che mi idolatra. Ad essere sinceri, vorrei farlo già da subito, se poteste spiegarmi come riuscirci.
19. Può confermarci che i dati sopra riportati sono completi e veritieri? No, ma vi sfido a dimostrare il contrario.
20. Qual è la ragione principale che la spinge a candidarsi presso di noi? Per questa ho due versioni:
1. L'amore per i miei simili, una profonda compassione e la possibilità di aiutare altri a placare la propria fame.
OPPURE:
2. Dei debiti terrificanti.

martedì 13 gennaio 2009

La crisi e i... soliti furbi


Ci troviamo oramai nella seconda metà di questo primo decennio che ci ha aperto le porte del ventunesimo secolo. Immersi profondamente in una grave crisi economica che ha colpito grosso modo l’intero pianeta, gli italiani, i neri d’Europa, sopravvivono con misere buste paga, striminzite ancor di più da cessioni del quinto ed altri tipi di debiti. In anni in cui il pignoramento delle case per non riuscir a tener testa a soffocanti mutui ha raggiunto percentuali vertiginose, il costo del cibo è aumentato a dismisura, la benzina è una sorta di bene di lusso, le bollette sono sempre più salate, l’abbigliamento è a malapena preso in considerazione dalla gente. Non più considerato come un bene primario, ma come prodotto di nicchia. Sembrerà esagerato, ma se si osserva attentamente una famiglia media, si denoterà come possa fare a meno del vestiario, utilizzando dei capi per diversi anni. Sembra di esser tornati indietro nel tempo, quando i nostri nonni, utilizzavano scarpe maglioni, pantaloni e cappotti per anni e anni e spesso li passavano a fratelli minori che avrebbero continuato a sfruttarli per ulteriori anni.

Oggi dei genitori di ceto medio, regalano al proprio figlio/a un capo d’abbigliamento in occasioni speciali come compleanni o feste come il Natale. Oppure danno direttamente una banconota da 50 euro nelle mani del proprio figlio, dicendogli di andare a comprarsi un maglione o un pantalone, consigliando di aspettare i saldi.
Ribadendo che si sta parlando di classe media, famiglie composte da operai, impiegati aventi uno, due figli frequentanti la scuola, si evince come solo i giovani acquistino capi d’abbigliamento e solo in determinati periodi dell’anno.

Stabilito quando e quanto una famiglia spende nell’abbigliamento, puntualizziamo il dove.
I ragazzi trovano sempre più prodotti sfiziosi ed a prezzi contenuti in quei punti vendita monomarca, figli legittimi di colossi del settore della moda di medio-bassa qualità.
Spuntate come funghi, dapprima nelle più grandi città mondiali, successivamente espanse per l’Europa, oggi sono presenti in quasi i tutti i centri dei capoluoghi di regione dello stivale.
Sembrerebbe che a risentire ciò siano i piccolo commercianti, che non fanno comunque a meno di ostentare beni di lusso, quali grosse auto, timbrate da marchi di case automobilistiche di prestigio, nonché poderose motociclette.

Nella lotta quotidiana contro queste odiate multinazionali che tuttavia danno da vivere a migliaia e migliaia di dipendenti in tutto il mondo, i commercianti oltre ad usare i trucchi storici, tra i quali lo spacciare un prodotto vecchio quanto il cielo per capi presenti nelle attuali collezioni o il gonfiare i prezzi nella settimana di Natale, sembrano aver deciso di spacciare i loro punti vendita per Outlet.
Senza far di tutta un erba un fascio, si può comunque notare come siano spuntati tanti piccoli Outlet nelle nostre città. La maggior parte di questi erano negozi già presenti, ai quali sotto state applicate sulle vetrine, scritte adesive rappresentanti questa parola tanto di moda. Più che una moda, Outlet è un vero e proprio fenomeno che permette in questa crisi economica di dare piccoli piaceri a gente che a mala pena riesce a sobbarcarsi un mutuo. E questa gente è la maggior parte degli italiani, ossia dipendenti privati e pubblici. Non importa che siano capi fuori moda o difettosi, l’importante è che si spenda poco. D’altro canto è sempre meglio che spendere tanto per altrettanti capi di passate stagioni o con difetti di produzione. Se poi non si cerca la grande firma, rimangono i confortevoli e convenienti colossi succitati.

Cinicamente molti commercianti si sono appropriati della parola Outlet, approfittando di questa scia positiva che sta contraddistinguendo questa nuova frontiera del commercio.
I prezzi però non sono propriamente bassi. I prodotti spesso non sono di marca. Anzi, si rischia di acquistare merce abilmente contraffatta.

Allora ci si deve chiedere che se oltre all’evidente crisi economica, i piccoli negozi non acquisiscano e perdano clienti, anche per la furberia dei loro titolari, i quali credono che l’acquirente non sia altro che un babbeo da raggirare.

sabato 3 gennaio 2009

Provocanti profezie



Come potrà essere la lapide del creatore di Windows?
Una simpatica satira lo mostra così

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