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giovedì 11 giugno 2009

Vigilanza privata

Va sotto i riflettori della polizia l'universo della vigilanza privata, business a sei zeri in crescente espansione con grandi concentrazioni, soprattutto nelle città capoluogo.

L' indagine amministrativa è stata promossa dal questore Giuseppe Caruso che ha esteso le verifiche anche agli investigatori privati, dotati di apposita licenza, molto attivi soprattutto nelle inchieste su tradimenti e infedeltà coniugali ma anche sulla concorrenza commerciale e sugli accertamenti di affidabilità economica.

L' idea è quella di radiografare l' intero settore che in provincia conta una quindicina di istituti di vigilanza e una quarantina di investigatori. L' idea è quella di verificare se tutti abbiano le carte in regola non solo sul versante delle autorizzazioni e sulla conduzione della loro attività ma se siano a posto anche i contratti di lavoro delle guardie giurate e le loro dotazioni di sicurezza.

Da tempo infatti i sindacati di categoria denunciano abusi e soprusi nella gestione del personale e una dotazione di sicurezza ridotta all' osso. Qualche anno fa dopo l' uccisione di un metronotte durante una rapina venne fuori che il corpo non aveva dotato il personale di servizio davanti alle banche degli appositi giubbotti antiproiettile che erano pure previsti nelle periodiche disposizioni del questore.

A cascata, da quell' episodio, si sollevò il coperchio anche sul trattamento dei lavoratori e sui diritti sindacali, cui seguirono licenziamenti dal sapore di ritorsione. Cinque anni fa, invece, fece scalpore la denuncia di un ex guardia che svelò l' esistenza di un caporalato diffuso all' interno dell' azienda spintosi fino a una sorta di ius prime noctis imposto da un superiore alle mogli degli aspiranti vigilanti.

In epoca di massiccia privatizzazione, poi, è ricorrente l' idea di delegare alla vigilanza privata compiti e controlli affidati alle forze dell' Ordine. Accade all' aeroporto di Palermo, come dappertutto. Qui a effettuare le verifiche ai banchi dei metal detector sono gli uomini della Ksm, la società palermitana del gruppo, colosso del settore in campo nazionale con numerose commesse pubbliche.

Delle verifiche si occupa la squadra controlli della divisione di polizia amministrativa e sociale, diretta dal primo dirigente Maurizio Ficarra. Complessivamente passano al vaglio anche la posizione di circa 1200 addetti tra impiegati, collaboratori e guardie giurate. I controlli sono già partiti da alcune settimane.

I primi già a fine giugno. «Anche a seguito di diversi esposti dei lavoratori del settore si stanno verificando - spiega la Questura - gli aspetti operativi dei servizi delle guardie giurate come l' attuazione di misure di sicurezza per la prevenzione dei reati e di accorgimenti per l' autotutela degli operatori».

I primi esiti dello screening evidenziano diverse violazioni del regolamento del questore e della normativa prevista dal testo unico delle leggi di pubblica sicurezza. «Sono stati contestati - spiega la Questura - vari illeciti amministrativi e sono partite le segnalazioni all' autorità giudiziaria per le violazioni configuranti fattispecie penali e all' Ispettorato provinciale del lavoro per gli aspetti inerenti la legislazione del lavoro». «Dalla questura un primo segnale importante», commenta Vincenzo Del Vicario, segretario nazionale del sindacato di categoria Savip.

mercoledì 3 giugno 2009

Autovelox clonati

Ricordate il post sull'indagine degli autovelox, scattata a seguito degli aumenti esagerati sulle sanzioni agli automobilisti?

Ebbene, uno degli sviluppi è che la ditta fornitrice, clonava le apparecchiature e imbrogliavano i comuni che si rivolgevano a loro per le macchinette del controllo della velocità, ma soprattutto hanno truffato quasi 82 mila automobilisti. Quelli della "Garda segnale srl", non si facevano troppi problemi e pur d'incassare i soldi delle multe avrebbero taroccato decine di apparecchi rilevatori. Attrezzature che risultavano in alcuni casi già rottamate o persino sequestrate.

Il raggiro è stato scoperto dalla Guardia di finanza di Sala Consilina (Salerno) che, su ordine della Procuratore Amato Barile, ha eseguito una serie di perquisizioni e sequestri su tutto il territorio nazionale. Nelle mani degli inquirenti sono finiti 50 "Velomax", computer, rilevatori ottici e fotografici, nonché documentazione contabile e amministrativa.

Sono ameno 70 i Comuni che ora si trovano nei guai, costretti, molto probabilmente a restituire qualcosa come 11 milioni e 300 mila euro, frutto di sanzioni riscosse con autovelox non autorizzati o, comunque, senza alcuna omologazione e certezza di corretta funzionalità.

Un salasso, soprattutto per le piccole amministrazioni (la "Garda" aveva rapporti quasi esclusivamente con i centri minori). Come ad esempio il comune di Camini, nell'entroterra della Locride, che sulla statale 106 aveva piazzato una macchinetta capace di elevare 13 mila multe nel solo 2008. Lo stesso dicasi per decine di altri municipi dell'intero territorio nazionale. Dalla Sicilia alla Valle d'Aosta senza soluzione di continuità.

Semplice il meccanismo. Secondo i finanzieri, la "Garda" dava a macchine irregolari numeri di serie di quelle perfettamente funzionanti. Così lo stesso autovelox installato in Calabria poteva avere identico numero di serie di uno piazzato in Veneto. Ed entrambi essere cloni di un terzo e così via. Quando gli automobilisti si rivolgevano al Giudice di Pace i "Velomax" risultavano sempre regolari. E il gioco era fatto. Coinvolta anche una società di servizio che, per conto dell'installatore, notificava le sanzioni. Tutti contenti, tranne gli automobilisti.

Incredulo il sindaco di Camini Anna Micellotta: "Se c'è truffa certamente non può essere attribuita al Comune che, visti i frequenti incidenti, nell'ottobre 2007 è stato costretto ad installare l'autovelox per tenere sotto controllo i limiti di velocità". Sul piede di guerra i rappresentanti dei truffati.

martedì 17 marzo 2009

Obblighi di denuncia


I medici protestano contro la segnalazione dei clandestiniDa tempo sui media si discute dell'emendamento della Lega al cosiddetto Pacchetto sicurezza che affida ai medici e agli altri operatori sanitari la facolta' di denunciare gli immigrati irregolari che si presentano nelle strutture sanitarie per essere curati.
Appena annunciato il provvedimento ci sarebbe stata stata una diminuzione delle presenze di immigrati nelle strutture sanitarie stimata attorno al 30% a causa del timore di essere segnalati e denunciati.
Da più parti molti medici protestano perchè tale segnalazione sarebbe contro la propria deontologia professionale. Altri denunciano i rischi che il mancato ricorso da parte dei clandestini alle cure sanitarie potrebbe innescare pericolose propagazioni di malattie pandemiche e alla meno peggio i clandestini sarebbero costretti ad alimentare un mercato parallelo di medici e guaritori che curerebbero in luoghi e per compensi non controllabili.

Per chi è contro la segnalazione alle autorità dei clandestini da parte dei medici ha domani, 17 marzo, la possibilità di protestare concretamente nell'ambito della manifestazione "Noi non segnaliamo Day" che si concretizzerà attraverso eventi in 20 città italiane.
La manifestazione, promossa da Medici senza Frontiere, Associazione Studi Giuridici sull'Immigrazione (ASGI), Società Italiana di Medicina delle Migrazioni (SIMM) e Osservatorio Italiano sulla Salute Globale (OISG) si basa sull'appello contro il provvedimento di legge in discussione in questi giorni alla Camera, volto a sopprimere il divieto di segnalazione per gli immigrati irregolari che ricevono cure sanitarie.

Per chi volesse maggiori informazioni può andare sul sito ufficiale della manifestazione dove sono elencati gli eventi, gli appelli e altre informazioni utili.

Approfondimenti:
sito ufficiale della manifestazione

In carcere da innocente


NON CHIAMATELO risarcimento. È un indennizzo. Come se lo Stato dicesse: ci scusi per il disturbo, per averle fatto perdere del tempo. Una sorta di riparazione, ma solo perché una funzione necessaria, l’esercizio della giustizia, ha preso una cantonata, un abbaglio. E pazienza se una reputazione è andata distrutta. Questo tocca a Patrick Lumumba, il congolese protagonista suo malgrado dell’inchiesta per l’omicidio di Meredith Kercher a Perugia. Coinvolto, pur innocente, dalla prima confessione di Amanda Knox. Finito in cella per 14 giorni, poi liberato con tante scuse.

Ora è arrivato la decisione dei giudici. A Patrick andranno ottomila euro: 235 ogni giorno passato in carcere, più 4 mila 710 per gli altri danni. Nel frattempo Lumumba è stato un “mostro” il cui volto è stato trasmesso in mondovisione. Ha perso il lavoro. Ha provato a riaprire il suo pub, ma dopo il delitto non ci andava più nessuno. E ha dovuto tirar giù, definitivamente, la saracinesca.

Questo tocca a Lumumba, ma a chiunque, nelle fasi dell’indagine, finisca in galera senza alcuna colpa. magari solo perché turato in ballo da altre persone che, in quel momento, sembravano attendibili agli inquirenti. Perché il limite massimo del risarcimento è fissato per legge: 516,45 euro per ogni notte trascorsa sulla branda. E anche la Cassazione, tirata in ballo più volte sulla questione, ha affermato: la cifra andrebbe rivista. Ma finché la legge è questa, non si può ottenere di più.

Non vanno nemmeno nel conto i danni subiti per il clamore mediatico della vicenda: la rilevanza in tv, su internet, sui giornali non è colpa di chi ha indagato su un caso di omicidio e ha preso decisioni che, in quel momento, apparivano fondate.

Solo questo? La Cassazione si è espressa a più riprese su questo argomento. E c’è una recente sentenza, del 13 maggio dello scorso anno, che dà nuove speranze a chi subisce gravi danni alla sua esistenza. Anche se c’è comunque un limite invalicabile. E i giudici ricordano: «L’unico parametro inderogabile è quello massimo». Perché è stabilito per legge.

Stiamo parlando, in questo caso (e per non cadere negli equivoci) di indennizzi corrisposti a chi finisce in galera per ragioni cautelari. Non perché condannato, ma perché imprigionato nella fase delle indagini per i tre presupposti che lo giustificano: il pericolo di fuga, di ripetere il reato, di inquinare le prove.

C’è un altro caso clamoroso che gli italiani ricordano. È quello di Daniele Barillà. Scambiato per un narcotrafficante, fu condannato a 18 anni e ne ha passato in cella sette e mezzo. Poi la revisione del processo, la scarcerazione del 1999, la sentenza di assoluzione l’anno successivo. La corte di appello di Genova gli ha riconosciuto quattro milioni di euro di risarcimento, di cui Barillà ne ha incassato a oggi due. «Quello - spiega il suo avvocato civilista, il genovese Mauro Ferrando - è stato un caso molto diverso. Una cosa è infatti l’ingiusta detenzione durante le indagini, una cosa l’errore giudiziario. Il caso, cioè, in cui una persona sia condannata con una sentenza e poi, ottenendo la revisione del processo, emerga la sua innocenza». In questo caso la situazione è molto diversa, «perché non ci sono limiti prestabiliti al risarcimento, che quindi può anche essere molto superiore a quei 500 euro al giorno. Ma anche in questo caso c’è una distorsione, perché tutto finisce affidato all’assoluta discrezionalità del giudice, senza altri vincoli. Probabilmente è tutto il sistema che andrebbe riformato».

«Purtroppo - spiega un altro avvocato genovese, Maurizio Mascia - le cifre sono queste. Perché la giustizia è considerata una sorta di “male necessario”, di cui non ci sarebbe bisogno in un mondo perfetto ma che deve invece esistere ed esercitare la sua azione. In questo, qualche volta anche sbagliando».

C’è però un caso recente che ha riparto la discussione sugli indennizzi. Un caso recente ed emblematico che quello che tocca un milanese. Finisce in cella l’8 ottobre 1997 e ci rimane fino al 29 settembre dell’anno successivo. E poi, ancora, ai domiciliari fino al 22 luglio 1999. Risultato? La corte di appello di Milano gli riconosce 130 mila euro, dopo due anni trascorsi nella privazione della libertà personale. La Cassazione accoglie il suo ricorso e ricorda: per valutare il danno creato a un innocente non basta solo applicare solo astrusi calcoli aritmetici e tabelle: «Occorre esaminare la storia personale dell’imputato, il suo ruolo professionale e sociale, alle conseguenze pregiudizievoli concretamente patite». Anche se, ricordano ancora una volta, non di risarcimento, ma di indennizzo si parla e la cifra stabilita dalla legge come massima non può essere superata.

Intanto, però, il magro risarcimento concesso dai giudici milanesi dovrà essere rivisto, considerato che la Cassazione lo ha annullato e ha chiesto agli stessi magistrati di riconsiderarlo. Ed è la stessa Cassazione che, proprio lo scorso 30 gennaio, ha comunque ricordato che «sono in contrasto con la Costituzione tutti i casi in cui la riparazione non è applicata per la violazione ingiustificata del diritto alla libertà personale». Insomma: ogni giorno in carcere da innocente vale, al massimo, poco più di 500 euro. Ma almeno quei pochi e maledetti, quelli sono un diritto.

Fonte: Il Secolo XIX

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