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lunedì 10 agosto 2009

I piccioni nelle città

Il segno più tangibile della loro presenza e una fila di macchie biancastre che si snoda lungo il marciapiede. Noi camminiamo sulla strada. I piccioni la usano come servizio. E poi razzolano la terra, mendicano briciole correndo a dietro alle persone, sembrano sempre sporchi. Per di più inclinano la testa e la muovono a scatti con un atteggiamento che non e difficile definire "da stupido".

E, nonostante siano tra i pochi animali che ancora restano in città, non li amiamo. Dopo i topi, sono gli animali più diffusi nei centri urbani. Ce ne sono 16 mila a Pisa, 40 mila a Bologna, 100 mila a Venezia. Si raccolgono in particolare nelle piazze, dove formano veri e propri assembramenti. A Milano, in piazza del Duomo ne hanno contati 8 mila.

Negli ultimi hanno hanno fatto persino scattare l'allarme sanitario. I piccioni hanno le zecche e trasmettono all'uomo salmonella (un batterio), toxoplasma (un protozoo) e criptococco, un lievito che provoca gravi infezioni nelle persone che hanno un debole sistema immunitario.

C'è però il rovescio della medaglia. L'animale dall'aspetto insignificante e un po' irritante nasconde uno dei principali protagonisti delle ricerche di neurobiologia, fisiologia sensoriale, etologia, psicofisica e psicologia comparata.

I piccioni hanno per esempio permesso di scoprire che la capacità di compiere associazioni non è una caratteristica esclusivamente umana.

Come altri animali imparano per apprendimento meccanico, e cioé se ricevono un premio quando fanno l'azione che gli viene richiesta. Per esempio dare un colpo di becco sopra a un simbolo a forma di albero. Però sanno andare anche oltre. Sono in grado di individuare l'albero anche quando l'immagine che viene presentata ha una forma diversa dal simbolo con cui ricevano il premio. E non solo: lo riconoscono in mezzo a centinaia di altre immagini, che tra l'altro memorizzano e ricordano anche a diversi mesi di distanza. Il che significa che il loro cervello crea una categoria mentale (l'albero) che permette di applicare il concetto anche se ci sono delle variazioni sul tema. Esattamente come facciamo noi.

Si potrebbe obiettare: gli alberi sono particolarmente importanti per i piccioni che, originariamente, erano uccelli migratori. Cosa accadrebbe invece se gli venissero proposte forme diverse? Sono state fatte prove con altri soggetti e persino con lettere e numeri, simboli astratti. I piccioni non hanno mai sbagliato. Con un po¹ di allenamento sono stati persino capaci di individuare uno stile, distinguendo un quadro cubista (Picasso)da uno impressionista (Monet).

La loro capacità di riconoscere i luoghi è stata semmai sfruttata per verificare come mai i piccioni viaggiatori riescano sempre, o quasi, a fare ritorno a casa. In realtà si è scoperto che più che sull'osservazione del paesaggio, si basano su quella della posizione del sole rispetto all'orizzonte. La confrontano con una sorta di orologio interno. In praticano sanno che se è mattino il sole deve essere a est. Quando il cielo è coperto si aiutano invece con la bussola: rilevano le variazioni del campo magnetico terrestre. Infine usano il naso: costruiscono mappe olfattive che si basano sia sugli odori sia sulla direzione dei venti dominanti. Ovvero: imparano che con lo scirocco che arriva da sud arrivano profumi diversi da quelli che viaggiano con la brezza del nord.

Le soprese non sono finite: i piccioni non sono solo delle teste. Hanno anche un cuore. In un mondo popolato da animali che praticano il sesso libero, sono rigorosamente monogami, e fedeli per tutta la vita. Il piccione maschio impiega parecchio tempo per scegliere la compagna. E la corteggia a lungo. Quando lei accetta le attenzioni del partner, il maschio si avvicina e le becchetta testa e collo. Se lei lo imita è fatta: significa che i due possono "fidanzarsi". Di accoppiamento infatti non si parla finché la coppia non si reputa stabile: deve passare almeno una settimana. A quel punto è la femmina a prendere l'iniziativa: inizia a becchettare il maschio vicino al becco. Lui le offre del cibo e glielo infila direttamente nel becco, proprio come si fa con i pulcini. È una dimostrazione importante: significa che è capace di prendersi cura anche dei figli.

Preoccupato per l'eventualità che la femmina si conceda delle scappatelle, il maschio fa la guardia per tutto il periodo successivo. E se la vede avvicinarsi ad altri maschi interviene, beccandola sulla nuca. La femmina non è per nulla infastidita. Anzi: con un protettore così solerte può andarsene in giro a cercare cibo senza temere l¹assalto di amanti indesiderati.

Dopo una ventina di giorni nascono i piccoli. I piccioni sono ottimi genitori: mamma e papà si alternano alla cova e producono, entrambi, il latte di piccione, una secrezione biancastra che serve per nutrire i pulcini. È una sostanza che contiene molte proteine e, proprio come il latte dei mammiferi, ricca di immunoglobuline. Viene prodotta dal gozzo.

I piccoli vengono alimentati esclusivamente con il latte per dieci giorni. Poi vengono svezzati. Con semi, chiocciole, vermi, larve di insetti e pane. Per il resto della loro vita sarà l¹uomo il loro principale fornitore di cibo. Un piccione adulto ha bisogno di 30 grammi al giorno di cibo secco, e di un bicchiere (90 grammi) di acqua.

Se la gente non li nutrisse il loro numero crollerebbe vertiginosamente: evidentemente, nonostante la loro cattiva fama, vengono aiutati. Risultato: c'è sovrappopolazione. Non dovrebbero essere più di 300 per chilometro quadrato, calcolano gli esperti. A Venezia,
dove sono ormai parte integrante del paesaggio, la densità è 10 volte di più di quella accettabile.

Ma con il cane e il gatto i piccioni sono stati tra i primi animali addomesticati dall¹uomo. Le tracce più antiche risalgono al Neolitico (8 mila anni fa). E piccioni di città sono figli e nipoti di piccioni viaggiatori che hanno smesso di lavorare, esemplari scampati al tiro a volo, piccioni da carne fuggiti dagli allevamenti. I loro parenti più stretti sono i piccioni selvatici (Columba livia), con cui ancora si incrociano e fanno figli, e che di tanto in tanto abbandonano la natura per avvicinarsi all'uomo. E ora di interrompere la convivenza? Non è detto. "Il rapporto con i piccioni si può recuperare, senza rischi per loro o per noi", dice Emilio Baldaccini, direttore del dipartimento di ccccc, di Pisa. Ma sarebbe meglio sospendere i rifornimenti.

3 commenti:

Poison ha detto...

io li odio e li farei tutti fuori

Ufo1 ha detto...

Bhe, dai, pensa che durante la guerra i nostri nonni li usavano come cibo alternativo... (bleah!)
Mi ricordo che allora 18enne, li facevo volare via agitando le braccia quando li trovavo sul mio percorso. Un amica mi disse: "Vorrei vedere cosa faresti se una persona grande come tu in proporzione al piccione, ti farebbe lo stesso!" Gli risposi :
"Scusa, guarda che io non me ne vado a zonzo a cagare in testa agli altri, sui vestiti e su tutto quello che mi capita...".
Poverina, rimase senza parole.
Del resto le consolatrici parole di un altro mio amico:
"Te l'immagini se le mucche avessero le ali come i piccioni?"

blogantropo ha detto...

Ero rimasto colpito dal fatto che dicevi che i piccioni vengono alimentati con latte, da una piccola ricerca sembra siano gli unici uccelli che in un certo qual modo allattano i propri piccoli. Insomma l'altro tuo amico non è andato troppo lontano. :D

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