Il Worldwatch Institute, l’ente internazionale per il controllo della situazione ambientale e dei cambiamenti climatici ha recentemente pubblicato un report dal poco equivocabile titolo: 2009: lo stato del mondo – verso un mondo più caldo. Anche quest’anno sono stati raccolti gli autorevoli pareri di 47 scienziati e studiosi da ogni parte della Terra ed il risultato del rapporto è lapidario: nel mondo non si è fatto abbastanza per contrastare il global warming e si sono attuate politiche sconsiderate che hanno causato un vertiginoso aumento delle emissioni nocive, aggravando un problema già di per sé serissimo venti anni fa.
Cosa si è fatto in questi anni? Nulla, sostengono dal Worldwatch: abituati come sono a pensare in piccolo e ad una distanza di tempo che al massimo arriva ai 4 o 5 anni di una legislatura, i governi nazionali hanno attuato interventi puramente di facciata ed assolutamente incoerenti con il resto delle decisioni in ambito industriale e tecnologico. Il risultato: la CO2 e gli altri gas serra, da quando gli scienziati hanno cominciato a lanciare allarmi ripetuti per sollecitare la loro riduzione, sono aumentati! Un disastro. Ma neanche le persone comuni sono esenti dalle critiche del prestigioso organo internazionale: auto di grossa cilindrata (che consumano tantissimo ed inquinano altrettanto) acquistate solo per ragioni di moda, i prodotti usa e getta, consumo di carne sconsiderato, uso improprio dei riscaldamenti e dell’aria condizionata sono solo alcuni degli aspetti della vita quotidiana che hanno inciso, secondo il report, su tali cambiamenti del clima.
Una sezione importante del documento è dedicata al dramma del disboscamento che, come i lettori di Eco51 sanno, compromette uno dei filtri per l‘aria più efficaci che la natura ci abbia messo a disposizione: con foreste giovani e ben curate si potrebbe assorbire il 13% delle emissioni di anidride carbonica immessa nell’atmosfera. Quest’ultima è in continuo aumento in barba a tutte le raccomandazioni e agli allarmi della scienza: gli USA, per avere un dato rappresentativo della deriva pericolosissima che ha preso il fenomeno, emettono il 20% della CO2 complessiva ma hanno una popolazione che non arriva al 5% di quella mondiale. Ciò significa che il restante 95% (e più) degli abitanti della Terra dovranno dividersi l’80% delle risorse (pur parlando di emissioni nocive è qui evidente che si tratta di un dato relativo alla produzioni industriali) ma, come è noto, queste non sono ripartite equamente: altri grandi “emettitori” di gas serra sono il Canada, l’Australia e l’Europa. Il sistema appare chiaramente in bilico ma la spinta finale per sprofondare nel baratro verrà, dicono dal Worldwatch Institute, per mano di Cina e India che stanno conoscendo tassi di crescita industriale vertiginosi.
Sembra un’ovvietà ma senza l’equità politica ed economica anche l’ambiente avrà vita breve: prima ancora che un cambiamento nello stile di vita di ciascuno per il bene di tutti, si dovrà quindi aver una serie di segnali forti dai governi che avranno il dovere di puntare su tecnologie innovative ad emissioni zero e su energie rinnovabili. Sembra di ripetere sempre le stesse cose, ma se siamo ancora qui a farlo vuol dire che c’è una certa riluttanza nel recepirle: speriamo che la Conferenza ONU di Copenaghen a fine anno possa registrare qualche piccolo grande segnale di cambiamento in tal senso.
Cosa si è fatto in questi anni? Nulla, sostengono dal Worldwatch: abituati come sono a pensare in piccolo e ad una distanza di tempo che al massimo arriva ai 4 o 5 anni di una legislatura, i governi nazionali hanno attuato interventi puramente di facciata ed assolutamente incoerenti con il resto delle decisioni in ambito industriale e tecnologico. Il risultato: la CO2 e gli altri gas serra, da quando gli scienziati hanno cominciato a lanciare allarmi ripetuti per sollecitare la loro riduzione, sono aumentati! Un disastro. Ma neanche le persone comuni sono esenti dalle critiche del prestigioso organo internazionale: auto di grossa cilindrata (che consumano tantissimo ed inquinano altrettanto) acquistate solo per ragioni di moda, i prodotti usa e getta, consumo di carne sconsiderato, uso improprio dei riscaldamenti e dell’aria condizionata sono solo alcuni degli aspetti della vita quotidiana che hanno inciso, secondo il report, su tali cambiamenti del clima.
Una sezione importante del documento è dedicata al dramma del disboscamento che, come i lettori di Eco51 sanno, compromette uno dei filtri per l‘aria più efficaci che la natura ci abbia messo a disposizione: con foreste giovani e ben curate si potrebbe assorbire il 13% delle emissioni di anidride carbonica immessa nell’atmosfera. Quest’ultima è in continuo aumento in barba a tutte le raccomandazioni e agli allarmi della scienza: gli USA, per avere un dato rappresentativo della deriva pericolosissima che ha preso il fenomeno, emettono il 20% della CO2 complessiva ma hanno una popolazione che non arriva al 5% di quella mondiale. Ciò significa che il restante 95% (e più) degli abitanti della Terra dovranno dividersi l’80% delle risorse (pur parlando di emissioni nocive è qui evidente che si tratta di un dato relativo alla produzioni industriali) ma, come è noto, queste non sono ripartite equamente: altri grandi “emettitori” di gas serra sono il Canada, l’Australia e l’Europa. Il sistema appare chiaramente in bilico ma la spinta finale per sprofondare nel baratro verrà, dicono dal Worldwatch Institute, per mano di Cina e India che stanno conoscendo tassi di crescita industriale vertiginosi.
Sembra un’ovvietà ma senza l’equità politica ed economica anche l’ambiente avrà vita breve: prima ancora che un cambiamento nello stile di vita di ciascuno per il bene di tutti, si dovrà quindi aver una serie di segnali forti dai governi che avranno il dovere di puntare su tecnologie innovative ad emissioni zero e su energie rinnovabili. Sembra di ripetere sempre le stesse cose, ma se siamo ancora qui a farlo vuol dire che c’è una certa riluttanza nel recepirle: speriamo che la Conferenza ONU di Copenaghen a fine anno possa registrare qualche piccolo grande segnale di cambiamento in tal senso.
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