Vandana Shiva, è una famosa attivista ecologista indiana il cui nome, benché curiosamente affine al dio della distruzione nella religione induista, è spesso associato a battaglie in difesa dei diritti dei più deboli. Lo fa dall’alto della sua competenza culturale e tecnica: la Shiva è direttrice di prestigiosi enti internazionali volti a tutelare le persone più sfortunate del Pianeta che sono spesso oggetto di bieco sfruttamento da parte di alcune (poche, in verità, ma molto potenti) di quelle più ricche. Insignita del “Right livehood award” nel 1993, premio definito da più parti “il Nobel alternativo”, la scienziata ha messo in guardia l’opinione pubblica occidentale dall’incombere di una nuova crisi, in atto da tempo ma spesso colpevolmente dimenticata dai media: quella alimentare.
Il fatto che ci sia gente che, letteralmente, muoia di fame è un qualcosa di talmente vago e drammatico che la nostra mente, e con essa la memoria collettiva, tende a rimuovere. Ma senza scomodare la psicoanalisi, si può facilmente capire come gli organi di informazione, non sempre impeccabili ed indipendenti, preferiscano evitare di addentrarsi su determinati argomenti che risulterebbero poco edificanti per le multinazionali del cibo. Già, perché i grandi gruppi industriali dell’agro-alimentare stanno facendo affari d’oro: negli ultimi anni i fatturati sono arrivati ad un aumento del 300% in alcuni casi. Se il settore è così florido verrebbe da chiedersi come mai ci siano ancora persone che non hanno accesso al cibo. La risposta è tragicamente ovvia: se non conviene sfamarli nessuno lo farà…
Negli ultimi decenni si è operata una profonda trasformazione dell’agricoltura, introducendo concetti e metodiche mutuate dall’industria: tra queste anche la corsa al profitto e alla crescita. Purtroppo la natura non è fatta di macchine e i ritmi della rigenerazione delle piante sono più o meno gli stessi da millenni: tale lentezza è alla base di tutta una serie di fenomeni economici e speculativi che si stanno abbattendo, denuncia la Shiva, sui paesi in via di sviluppo e sul Terzo Mondo. Le tante speranze riposte nell’agro-industria, prima fra tutte quella di poter garantire più cibo a più persone e a prezzi sempre più bassi, sono miseramente fallite: quel che si registra oggi è esattamente il contrario di tali aspettative!
Nel 2008, per dare qualche cifra, il prezzo del grano è salito in India del 130% mentre quello del riso, in un solo trimestre, addirittura del 200% con conseguenze disastrose sulla già fragile economia di sussistenza del Subcontinente. La Shiva attribuisce le responsabilità di questa crisi alimentare alla globalizzazione del mercato, che ha permesso l’entrata di grandi speculatori in sistemi economici ancora incapaci di sviluppare solide strutture nazionali. Con gli alimenti si è fatta una diffusa campagna di dumping: all’inizio si applicano prezzi bassissimi che invogliano alle importazioni e all’acquisto, tali da distruggere completamente la concorrenza delle produzioni locali che finiscono per essere abbandonate. Acquisito il controllo del mercato, gli speculatori alzano i prezzi: una pratica del genere è vietata in Occidente ma in India, pur restando un reato, è difficilmente perseguibile.
L’Occidente è colpevole e responsabile su più piani. Oltre 150 mila contadini indiani, ad esempio, vistisi derubati del proprio lavoro, si sarebbero suicidati negli ultimi dieci anni. Le colture poi, caratterizzate sempre più da prodotti chimici e da OGM, comportano delle spese ingenti che inducono i governi a richiedere prestiti: in un’economia mondiale basata sul debito – non siamo certo noi i più titolati a parlarne ma si tratta di un punto centrale anche in questa vicenda – tali operazioni economiche sono assolutamente deleterie per i paesi debitori che difficilmente riusciranno ad onorarli senza fare enormi sacrifici. Se a questo aggiungiamo che i frutti della terra, una volta nati, vengono commercializzati dove è più conveniente (e cioè quasi mai nei paesi dove sono stati prodotti) si ha una visuale completa della gravissima situazione alimentare ed ecologica mondiale. A questo va aggiunta la deleteria decisione di convertire cereali e colture in carburanti. Il 75% dell’aumento dei prezzi dei generi alimentari nei paesi in via di sviluppo è attribuito da Banca Mondiale proprio a questa dannosissima scelta. Il restante 25%, però, è frutto di pura speculazione…
Il fatto che ci sia gente che, letteralmente, muoia di fame è un qualcosa di talmente vago e drammatico che la nostra mente, e con essa la memoria collettiva, tende a rimuovere. Ma senza scomodare la psicoanalisi, si può facilmente capire come gli organi di informazione, non sempre impeccabili ed indipendenti, preferiscano evitare di addentrarsi su determinati argomenti che risulterebbero poco edificanti per le multinazionali del cibo. Già, perché i grandi gruppi industriali dell’agro-alimentare stanno facendo affari d’oro: negli ultimi anni i fatturati sono arrivati ad un aumento del 300% in alcuni casi. Se il settore è così florido verrebbe da chiedersi come mai ci siano ancora persone che non hanno accesso al cibo. La risposta è tragicamente ovvia: se non conviene sfamarli nessuno lo farà…
Negli ultimi decenni si è operata una profonda trasformazione dell’agricoltura, introducendo concetti e metodiche mutuate dall’industria: tra queste anche la corsa al profitto e alla crescita. Purtroppo la natura non è fatta di macchine e i ritmi della rigenerazione delle piante sono più o meno gli stessi da millenni: tale lentezza è alla base di tutta una serie di fenomeni economici e speculativi che si stanno abbattendo, denuncia la Shiva, sui paesi in via di sviluppo e sul Terzo Mondo. Le tante speranze riposte nell’agro-industria, prima fra tutte quella di poter garantire più cibo a più persone e a prezzi sempre più bassi, sono miseramente fallite: quel che si registra oggi è esattamente il contrario di tali aspettative!
Nel 2008, per dare qualche cifra, il prezzo del grano è salito in India del 130% mentre quello del riso, in un solo trimestre, addirittura del 200% con conseguenze disastrose sulla già fragile economia di sussistenza del Subcontinente. La Shiva attribuisce le responsabilità di questa crisi alimentare alla globalizzazione del mercato, che ha permesso l’entrata di grandi speculatori in sistemi economici ancora incapaci di sviluppare solide strutture nazionali. Con gli alimenti si è fatta una diffusa campagna di dumping: all’inizio si applicano prezzi bassissimi che invogliano alle importazioni e all’acquisto, tali da distruggere completamente la concorrenza delle produzioni locali che finiscono per essere abbandonate. Acquisito il controllo del mercato, gli speculatori alzano i prezzi: una pratica del genere è vietata in Occidente ma in India, pur restando un reato, è difficilmente perseguibile.
L’Occidente è colpevole e responsabile su più piani. Oltre 150 mila contadini indiani, ad esempio, vistisi derubati del proprio lavoro, si sarebbero suicidati negli ultimi dieci anni. Le colture poi, caratterizzate sempre più da prodotti chimici e da OGM, comportano delle spese ingenti che inducono i governi a richiedere prestiti: in un’economia mondiale basata sul debito – non siamo certo noi i più titolati a parlarne ma si tratta di un punto centrale anche in questa vicenda – tali operazioni economiche sono assolutamente deleterie per i paesi debitori che difficilmente riusciranno ad onorarli senza fare enormi sacrifici. Se a questo aggiungiamo che i frutti della terra, una volta nati, vengono commercializzati dove è più conveniente (e cioè quasi mai nei paesi dove sono stati prodotti) si ha una visuale completa della gravissima situazione alimentare ed ecologica mondiale. A questo va aggiunta la deleteria decisione di convertire cereali e colture in carburanti. Il 75% dell’aumento dei prezzi dei generi alimentari nei paesi in via di sviluppo è attribuito da Banca Mondiale proprio a questa dannosissima scelta. Il restante 25%, però, è frutto di pura speculazione…
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