Ricerca personalizzata

giovedì 4 giugno 2009

Lo stress ossidativo si ritrova nei geni

In una serie di esperimenti, si è riusciti a identificare un nuovo fattore di trascrizione, chiamato Mga2, cruciale per il meccanismo di adattamento alla presenza di bassi livelli di composti ossidativi.

Lo stress ossidativo, sia nella letteratura scientifica sia nella pubblicistica, è stato spesso legato all'invecchiamento, all'insorgenza dei tumori e di altre malattie. Paradossalmente, alcuni studi hanno trovato che una piccola esposizione a composti ossidativi può in realtà offrire una protezione dalla presenza di dosi più massicce.

Ora i ricercatori dell'Università della California a San Diego hanno scoperto il gene responsabile di tale effetto: il lavoro pubblicato sull'ultimo numero della rivista on-line ad accesso libero PLoS Genetics spiega il meccanismo sottostante al processo che previene il danno cellulare da parte dei derivati reattivi dell'ossigeno (reactive oxygen species, ROS).

"Possiamo bere succo di melagrana per combattere i radicali liberi o seguire una dieta a basso introito calorico per essere più longevi", ha commentato Trey Ideker, capo della divisione di genetica del Dipartimento di medicina della UC San Diego e professore di bioingegneria della Jacobs School of Engineering. "Ma ora i nostri studi suggeriscono che effettivamente gli esseri umani sono in grado di prolungare la propria vita esponendo il proprio corpo a minime quantità di ossidanti."

I ROS sono ioni che si formano come prodotto di scarto naturale del metabolismo dell'ossigeno e rivestono un ruolo importante nei processi di segnalazione molecolare all'interno delle cellule. Questa classe di piccole molecole include gli ioni ossigeno, i radicali liberi e i perossidi. Tuttavia, in condizioni di stress ambientale - per esempio, per l'esposizione alla radiazione ultravioletta, al calore o a sostanze chimiche nocive - i livelli di ROS possono aumentare drasticamente. Tale effetto, a sua volta, può determinare un significativo danno cellulare a carico delle molecole di DNA e di RNA e delle proteine con effetti cumulativi che vanno sotto il nome di stress ossidativo.

Uno dei maggiori contributi a a quest'ultimo è dato dal perossido d'idrogeno derivato da un tipo di radicali prodotti dai mitocondri con la produzione d'energia. Sebbene la cellula abbia un metodo per minimizzare gli effetti dannosi del perossido d'drogeno, convertendolo in ossigeno e acqua, tale processo non riesce nel 100 per cento dei casi.


Ideker e colleghi hanno così cominciato a studiare nei lieviti i processi coinvolti nel processo di adattamento della cellula alla presenza di perossido d'idrogeno, cercando di chiarire in che modo avviene l'ormesi, il fenomeno per il quale una sostanza tossica agisce come stimolante in piccole dosi e come un inibitore a grandi dosi.

Si è così proceduto a trattare le cellule con una piccola dose di perossido d'idrogeno seguita da una alta dose cercando al contempo i geni candidati a controllare questo meccanismo di adattamento, per il quale è risultato cruciale un nuovo fattore di trascrizione chiamato Mga2.

"Si è trattato di un risultato sorprendente perché Mga2 si trova in un 'posto di controllo' di un cammino completamente differente di rispetto a quelli che rispondono a una esposizione acuta ad agenti ossidativi: questo secondo cammino è attivo solo alle più basse dosi", ha concluso Ideker.

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