Finirono al rogo perché erano sospettati di eresia. Persero tutti i loro beni e l’onore travolti da accuse infamanti, come quella di sodomia. Ma, ancor più, quella di idolatria. Durante il processo, voluto dal re francese Filippo il Bello per smantellare l’ordine dei Templari, numerosi testimoni raccontarono che i cavalieri cristiani erano soliti adorare una tenebrosa testa di uomo barbuto. Il Bafometto, che nella fantasia popolare, ma non solo, venne associato a qualche misterioso angelo venuto dalle tenebre.
Che il processo contro i Templari fosse stato una montatura, per depredarli delle loro ingenti ricchezze, lo si sapeva già. Ma adesso, Barbara Frale dà corpo a un ipotesi ancora più dirompente e nuova: il Bafometto non sarebbe mai esistito. Perché i Templari, dopo il saccheggio di Costantinopli del 1204, presero in custodia la sindone. Trasformarono in oggetto di venerazione quel lenzuolo su cui si è sempre pensato fosse rimasta impressa la figura del Cristo morente. E che adesso è custodito nel Duomo di Torino.
L’ipotesi era già stata formulata trent’anni fa dallo studioso oxfordiano Ian Wilson. Ma Barbara Frale, che si è specializzata all’Università di Venezia proprio con un lavoro dedicato ai Templari e che adesso lavora alla Biblioteca Vaticana, va molto più in là. Portando prove concrete a sostegno della tesi di Wilson nel suo saggio ”I Templari e la sindone di Cristo”, che la casa editrice il Mulino (pagg. 252, euro 16) distribuisce nelle librerie da oggi.
A questo testo, tra un anno, ne seguirà un altro, intitolato ”La Sindone e Gesù Nazareno”. Dove la Frale approfondirà un altro affascinante enigma legato alla sindone. Quello delle scritte che appaiono impresse sul telo di lino accanto alla figura del Cristo crocifisso. Parole che, come accenna nella parte finale de ”I Templari e la sindone di Cristo”, spazzerebbero via le teorie razionaliste. Che hanno provato a liquidare l’antica reliquia come un abile falso medioevale.
Il documento che ha permesso a Barbara Frale di scoprire il vero volto del Bafometto è sepolto dentro le carte processuali contro i Templari. Si tratta di un foglio molto consunto conservato negli Archivi Nazionali di Parigi. Alcuni cavalieri, rinchiusi a Carcassonne in Linguadoca, raccontarono nelle loro deposizioni, datate 1307, di certe cerimonie in cui erano invitati a adorare una sorta si lenzuolo di lino, chiuso dentro una teca, su cui compariva la testa di un uomo barbuto.
I Templari, in sostanza, non sarebbero stati affatto eretici, Anzi, avrebbero conservato la sindone, usandola proprio contro chi tendeva a credere soltanto nella natura divina di Gesù Cristo. In quel corpo massacrato fino alla morte, inchiodato sulla croce, che nel sepolcro aveva lasciato l’impronta sul lino prima di risorgere, c’era la prova più shockante dell’umanità del figlio di Dio.
Accusati di eresia, in realtà custodirono e venerarono il misterioso lenzuolo
Curiosamente l’area in cui ci fu la massima contaminazione ereticale è anche quella in cui il culto del sudario di Cristo era più radicato nel Tempio. Se i Templari ebbero la possibilità di custodire il prezioso oggetto, è chiaro che vollero tenerlo per gli stessi motivi che avevano spinto Costantino VII a farne la reliquia più venerata di Costantinopoli: era un’arma di potere micidiale contro la diffusione delle idee eretiche, un antidoto di gran lunga più efficace dei sermoni dei predicatori e persino dei roghi dell’Inquisizione.
Per l’uomo del medioevo, spesso analfabeta ma padrone di un intuito che oggi non comprendiamo appieno, non c’erano dotte disquisizioni che tenessero. I catari dicevano che il Cristo non aveva vero corpo umano né vero sangue; una volta aperto completamente, il telo della sindone lasciava vedere l’impronta del corpo martoriato dalla Passione nella maniera esatta descritta dai vangeli.
E soprattutto si vedeva il sangue, una gran quantità di sangue sparso dovunque. Presso lo squarcio del costato, poi, il fiotto era di grandezza impressionante e la mente non poteva fare a meno di volare alle parole dei vangeli. Nell’Ultima Cena Gesù aveva detto: «Questo è il mio sangue per la nuova alleanza, versato per molti in remissione dei peccati».
Quel sangue versato stava ancora lì davanti a tutti, intriso dentro il lino della sindone. Si poteva vedere, toccare, baciare. Era il miglior rimedio contro tutte le eresie. Due secoli più tardi Martin Lutero avrebbe scritto: «La croce sola è la nostra teologia».
È una frase lontana nel tempo, però incarna benissimo ciò che la sindone rappresentava per i Templari. Una testimonianza rilasciata nel processo di Poitiers dinanzi al papa pare mostrare proprio questa dinamica: frate Pons de Brozet, Precettore della Provenza, nel 1288 accoglie nel Tempio una giovane recluta e dopo la liturgia di rito nella cerimonia d’ingresso gli mostra prima il volto che sta sopra l’altare, poi una croce.
Quindi gli dice che non deve credere nella croce, bensì in quel Volto perché Dio non è mai morto; e poi gli fa adorare e baciare il Volto «come si baciano le reliquie». Pons de Brozet è uno dei dignitari che ebbero in custodia personale la sindone; se la scena è immaginata visualizzando la sindone piegata nella teca-reliquiario che lasciava vedere solo il volto, allora tutto acquista un senso pieno: l’immagine miracolosa che documenta come Gesù non restò nel sepolcro per più di tre giorni, l’immagine che porta impresso il segno di Giona, mostra la Resurrezione.
Gli eretici predicavano che l’uomo Gesù era morto, che quella era la fine naturale dell’uomo e che la carne non poteva risorgere. Ma il Templare non deve porgere l’orecchio a quelle false dottrine alternative, non deve mai credere che tutto finì nella crocifissione. La croce fu solo l’inizio; l’idolo, la misteriosa immagine che porta i segni della Resurrezione, ne è la prova.
C’è un altro fatto importante da notare. Le tracce di sangue rimaste sulla sindone corrispondono a colature intense, molte delle quali (specie al volto, alle ferite da chiodo e al costato) derivano dalla rottura di vene e sono quanto resta di un flusso molto abbondante; oggi però non ci sono più i grossi coaguli che un tempo il lino portava, come se la stoffa in seguito a eventi ignoti avesse perduto la maggior parte di quel sangue raggrumato e secco che in origine formava degli ammassi a rilievo sul telo, simili a grosse croste su tante ferite.
A Costantinopoli, sparsi nelle oltre mille chiese della capitale, esistevano molti reliquiari che si diceva contenessero una parte del Santo Sangue di Gesù, e molti di essi furono portati in Europa dai crociati dopo il sacco del 1204. Questo grande movimento delle reliquie del Sangue, che eccitava moltissimo la fantasia dell’uomo medievale perché era intimamente connesso al mistero dell’Eucarestia, potrebbe avere influenzato la trasformazione delle leggende sul Santo Graal, il quale nelle versioni più antiche era solo una portentosa bacinella descritta in certe saghe dei celti, ma proprio negli anni seguenti alla quarta crociata comincia a essere celebrato come la Coppa dell’Ultima Cena, oppure il calice in cui Giuseppe d’Arimatea avrebbe raccolto il fiotto di sangue uscito dal costato di Gesù crocifisso.
In ogni caso, questi reliquiari del Sangue erano piccole ampolle in cristallo o cristallo di rocca che contenevano minuscole quantità di sangue essiccato. Data la loro origine bizantina, tutto fa pensare che quel sangue essiccato fosse stato raschiato via proprio dai grumi un tempo ancora presenti sulla sindone: in questo senso quelle reliquie erano vere, cioè contenevano il sangue proveniente da un oggetto ritenuto come l’autentico sudario di Cristo, ed erano certificate dall’autorità dell’imperatore di Costantinopoli. Se così fu, non sorprende che la gente fosse disposta a spendere cifre astronomiche per averle.
Se l’ordine del Tempio soffrì di una certa contaminazione ereticale, non è strano che pensasse a procurarsi una medicina di tale potere per combattere la sua guerra in via privata, discreta, invisibile. Gli alti dignitari dell’ordine svolgevano delicati ruoli diplomatici per gli imperatori bizantini, conoscevano bene la reggia di Costantinopoli con la sua stanza delle meraviglie. Preoccupato per il dilagare del pensiero cataro che aveva pervaso una grossa parte della società cristiana e della Chiesa cattolica, l’ordine del Tempio pensò di curare l’incredulità di certi suoi esponenti nella stessa semplice, efficace maniera in cui a suo tempo era stata vinta quella di san Tommaso.
L’apostolo aveva dichiarato che non avrebbe creduto a Gesù risorto se non avesse prima visto e toccato la piaga aperta del suo costato; così anche i Templari caduti nel dubbio sarebbero stati salvati dal fatto di poter vedere con i propri occhi i segni dell’umanità di Cristo impressi nella stupefacente reliquia. Vedere e anche toccare: come già detto, stando alle fonti storiche i Templari usavano venerare la sindone con una liturgia che prevedeva il bacio sulle ferite dei piedi.
Che il processo contro i Templari fosse stato una montatura, per depredarli delle loro ingenti ricchezze, lo si sapeva già. Ma adesso, Barbara Frale dà corpo a un ipotesi ancora più dirompente e nuova: il Bafometto non sarebbe mai esistito. Perché i Templari, dopo il saccheggio di Costantinopli del 1204, presero in custodia la sindone. Trasformarono in oggetto di venerazione quel lenzuolo su cui si è sempre pensato fosse rimasta impressa la figura del Cristo morente. E che adesso è custodito nel Duomo di Torino.
L’ipotesi era già stata formulata trent’anni fa dallo studioso oxfordiano Ian Wilson. Ma Barbara Frale, che si è specializzata all’Università di Venezia proprio con un lavoro dedicato ai Templari e che adesso lavora alla Biblioteca Vaticana, va molto più in là. Portando prove concrete a sostegno della tesi di Wilson nel suo saggio ”I Templari e la sindone di Cristo”, che la casa editrice il Mulino (pagg. 252, euro 16) distribuisce nelle librerie da oggi.
A questo testo, tra un anno, ne seguirà un altro, intitolato ”La Sindone e Gesù Nazareno”. Dove la Frale approfondirà un altro affascinante enigma legato alla sindone. Quello delle scritte che appaiono impresse sul telo di lino accanto alla figura del Cristo crocifisso. Parole che, come accenna nella parte finale de ”I Templari e la sindone di Cristo”, spazzerebbero via le teorie razionaliste. Che hanno provato a liquidare l’antica reliquia come un abile falso medioevale.
Il documento che ha permesso a Barbara Frale di scoprire il vero volto del Bafometto è sepolto dentro le carte processuali contro i Templari. Si tratta di un foglio molto consunto conservato negli Archivi Nazionali di Parigi. Alcuni cavalieri, rinchiusi a Carcassonne in Linguadoca, raccontarono nelle loro deposizioni, datate 1307, di certe cerimonie in cui erano invitati a adorare una sorta si lenzuolo di lino, chiuso dentro una teca, su cui compariva la testa di un uomo barbuto.
I Templari, in sostanza, non sarebbero stati affatto eretici, Anzi, avrebbero conservato la sindone, usandola proprio contro chi tendeva a credere soltanto nella natura divina di Gesù Cristo. In quel corpo massacrato fino alla morte, inchiodato sulla croce, che nel sepolcro aveva lasciato l’impronta sul lino prima di risorgere, c’era la prova più shockante dell’umanità del figlio di Dio.
Accusati di eresia, in realtà custodirono e venerarono il misterioso lenzuolo
Curiosamente l’area in cui ci fu la massima contaminazione ereticale è anche quella in cui il culto del sudario di Cristo era più radicato nel Tempio. Se i Templari ebbero la possibilità di custodire il prezioso oggetto, è chiaro che vollero tenerlo per gli stessi motivi che avevano spinto Costantino VII a farne la reliquia più venerata di Costantinopoli: era un’arma di potere micidiale contro la diffusione delle idee eretiche, un antidoto di gran lunga più efficace dei sermoni dei predicatori e persino dei roghi dell’Inquisizione.
Per l’uomo del medioevo, spesso analfabeta ma padrone di un intuito che oggi non comprendiamo appieno, non c’erano dotte disquisizioni che tenessero. I catari dicevano che il Cristo non aveva vero corpo umano né vero sangue; una volta aperto completamente, il telo della sindone lasciava vedere l’impronta del corpo martoriato dalla Passione nella maniera esatta descritta dai vangeli.
E soprattutto si vedeva il sangue, una gran quantità di sangue sparso dovunque. Presso lo squarcio del costato, poi, il fiotto era di grandezza impressionante e la mente non poteva fare a meno di volare alle parole dei vangeli. Nell’Ultima Cena Gesù aveva detto: «Questo è il mio sangue per la nuova alleanza, versato per molti in remissione dei peccati».
Quel sangue versato stava ancora lì davanti a tutti, intriso dentro il lino della sindone. Si poteva vedere, toccare, baciare. Era il miglior rimedio contro tutte le eresie. Due secoli più tardi Martin Lutero avrebbe scritto: «La croce sola è la nostra teologia».
È una frase lontana nel tempo, però incarna benissimo ciò che la sindone rappresentava per i Templari. Una testimonianza rilasciata nel processo di Poitiers dinanzi al papa pare mostrare proprio questa dinamica: frate Pons de Brozet, Precettore della Provenza, nel 1288 accoglie nel Tempio una giovane recluta e dopo la liturgia di rito nella cerimonia d’ingresso gli mostra prima il volto che sta sopra l’altare, poi una croce.
Quindi gli dice che non deve credere nella croce, bensì in quel Volto perché Dio non è mai morto; e poi gli fa adorare e baciare il Volto «come si baciano le reliquie». Pons de Brozet è uno dei dignitari che ebbero in custodia personale la sindone; se la scena è immaginata visualizzando la sindone piegata nella teca-reliquiario che lasciava vedere solo il volto, allora tutto acquista un senso pieno: l’immagine miracolosa che documenta come Gesù non restò nel sepolcro per più di tre giorni, l’immagine che porta impresso il segno di Giona, mostra la Resurrezione.
Gli eretici predicavano che l’uomo Gesù era morto, che quella era la fine naturale dell’uomo e che la carne non poteva risorgere. Ma il Templare non deve porgere l’orecchio a quelle false dottrine alternative, non deve mai credere che tutto finì nella crocifissione. La croce fu solo l’inizio; l’idolo, la misteriosa immagine che porta i segni della Resurrezione, ne è la prova.
C’è un altro fatto importante da notare. Le tracce di sangue rimaste sulla sindone corrispondono a colature intense, molte delle quali (specie al volto, alle ferite da chiodo e al costato) derivano dalla rottura di vene e sono quanto resta di un flusso molto abbondante; oggi però non ci sono più i grossi coaguli che un tempo il lino portava, come se la stoffa in seguito a eventi ignoti avesse perduto la maggior parte di quel sangue raggrumato e secco che in origine formava degli ammassi a rilievo sul telo, simili a grosse croste su tante ferite.
A Costantinopoli, sparsi nelle oltre mille chiese della capitale, esistevano molti reliquiari che si diceva contenessero una parte del Santo Sangue di Gesù, e molti di essi furono portati in Europa dai crociati dopo il sacco del 1204. Questo grande movimento delle reliquie del Sangue, che eccitava moltissimo la fantasia dell’uomo medievale perché era intimamente connesso al mistero dell’Eucarestia, potrebbe avere influenzato la trasformazione delle leggende sul Santo Graal, il quale nelle versioni più antiche era solo una portentosa bacinella descritta in certe saghe dei celti, ma proprio negli anni seguenti alla quarta crociata comincia a essere celebrato come la Coppa dell’Ultima Cena, oppure il calice in cui Giuseppe d’Arimatea avrebbe raccolto il fiotto di sangue uscito dal costato di Gesù crocifisso.
In ogni caso, questi reliquiari del Sangue erano piccole ampolle in cristallo o cristallo di rocca che contenevano minuscole quantità di sangue essiccato. Data la loro origine bizantina, tutto fa pensare che quel sangue essiccato fosse stato raschiato via proprio dai grumi un tempo ancora presenti sulla sindone: in questo senso quelle reliquie erano vere, cioè contenevano il sangue proveniente da un oggetto ritenuto come l’autentico sudario di Cristo, ed erano certificate dall’autorità dell’imperatore di Costantinopoli. Se così fu, non sorprende che la gente fosse disposta a spendere cifre astronomiche per averle.
Se l’ordine del Tempio soffrì di una certa contaminazione ereticale, non è strano che pensasse a procurarsi una medicina di tale potere per combattere la sua guerra in via privata, discreta, invisibile. Gli alti dignitari dell’ordine svolgevano delicati ruoli diplomatici per gli imperatori bizantini, conoscevano bene la reggia di Costantinopoli con la sua stanza delle meraviglie. Preoccupato per il dilagare del pensiero cataro che aveva pervaso una grossa parte della società cristiana e della Chiesa cattolica, l’ordine del Tempio pensò di curare l’incredulità di certi suoi esponenti nella stessa semplice, efficace maniera in cui a suo tempo era stata vinta quella di san Tommaso.
L’apostolo aveva dichiarato che non avrebbe creduto a Gesù risorto se non avesse prima visto e toccato la piaga aperta del suo costato; così anche i Templari caduti nel dubbio sarebbero stati salvati dal fatto di poter vedere con i propri occhi i segni dell’umanità di Cristo impressi nella stupefacente reliquia. Vedere e anche toccare: come già detto, stando alle fonti storiche i Templari usavano venerare la sindone con una liturgia che prevedeva il bacio sulle ferite dei piedi.
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