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lunedì 8 giugno 2009

La salute: quando prevenire significano analisi

Ecco a voi un altro esempio di informazione “venduta”. Hanno bisogno dell’orecchio benevolo (o ignorante) dei giornalisti anche le cliniche private che campano, e lucrano, sulla paura vendendo diagnosi precoci non solo inutili, ma anche pericolose.

Spaventato dallo spauracchio agitato ad arte, illuso che la diagnosi precoce possa salvargli la vita, il cittadino sano si sottopone a ogni tipo di esame. Spesso però si tratta di bufale: dietro la diagnosi precoce non c’è una migliore prognosi e la vita non si allunga.

Un esempio emblematico è la diagnosi precoce del tumore al polmone dei fumatori, di gran moda in questi ultimi 5 anni.

Agli inizi di marzo di quest’anno nelle redazioni di quotidiani, settimanali e mensili viene recapitato un invito della Fondazione Istituto nazionale dei tumori di Milano. Di lì a poco, e per la precisione il 7 marzo, sarebbero stati presentati i risultati del follow up di 3 studi condotti da ricercatori americani e italiani. Relatori: Ugo Pastorino, direttore della chirurgia toracica dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano; Carlo La Vecchia, epidemiologo dell’Università di Milano e Piergiorgio Zuccaio dell’Istituto Superiore di sanità. Cosa dicevano gli studi? I dati erano pubblicati quel giorno sulla prestigiosa rivista scientifica Journal of American Medical Association (1) e venivano ripresi da tutta la stampa internazionale, Economist e New York Times in testa (2) (3).

I dati infatti dimostravano per l’ennesima volta che la diagnosi precoce del tumore al polmone, in qualsiasi modo venga fatta (con radiografia, esame dello sputo o Tac spirale), non allunga la vita.

Anzi, lo studio pubblicato su Jama e l’editoriale pubblicato contemporaneamente dimostravano infatti che la diagnosi precoce nel caso del tumore al polmone aumenta addirittura il rischio di morte dei fumatori.

Confrontando la sopravvivenza dei fumatori esaminati rispetto a quelli non esaminati si dimostrava che lo screening trovava sì più tumori di quanti ne vengono diagnosticati in un campione di popolazione altrettanto grande (144 contro 44), faceva anche aumentare gli interventi chirurgici (109 contro 11), ma non riduceva il numero di coloro che morivano della malattia (38 contro 39: differenza non statisticamente significativa). Non solo.

Considerato che l’intervento chirurgico è invasivo e richiede l’apertura della gabbia toracica, la diagnosi precoce si confermava come più dannosa che utile perchè il 5% dei pazienti decede per l’intervento e che un altro 20-40% ne ricava complicazioni gravi.

Ma quello stesso 7 marzo a pagina 34 di Repubblica (4), un giornalista che di solito non si occupa di salute intervistava su 5 colonne (a richiesta dell’interessata?) Giulia Veronesi, figlia del noto chirurgo e direttore dell’Istituto Europeo di Oncologia, cioè la concorrenza privata del pubblico Istituto dei tumori, che ribadiva la tesi contraria: sosteneva infatti la ricercatrice che «con la tac spirale e con la Pet, la Tomografia a emissione di positroni è possibile diagnosticare i tumori del polmone nella loro fase iniziale, quando le possibilità di guarigione sono molto elevate» e ancora che «il 90% dei tumori scoperti è risultato operabile e che il 70% dei tumori identificati sono allo stadio uno, lo stadio a miglior prognosi; correlato a una sopravvivenza dei pazienti tra l’80 e il 90%». Da dove avesse attinto quei dati non si sa, ma certo il giornalista non era in grado di confutarli.

Non solo in Italia
L’informazione a dir poco approssimativa non è un’eccezione italiana se nel 2000 uno studio pubblicato sul New England Journal of medicine (5) (6) analizzava 207 articoli riguardanti tre farmaci apparsi sui maggiori media americani (Wall Street Journal, New York Times e Washington Post) e altri 33 giornali: nel 40% degli articoli mancavano dati e cifre sull’asserita efficacia dei farmaci tanto che chi leggeva non poteva farsi un’idea della loro utilità.

L’83% del restante 60% degli articoli fornivano dati sull’utilità relativa. Di un farmaco sull’osteoporosi per esempio si affermava che riduceva il rischio di frattura dell’osso iliaco del 50%, “quasi miracoloso”. Su 100 persone che non avevano assunto il farmaco 2 si rompevano il femore. Quindi la riduzione del 50% consisteva nel passaggio da 2 a 1 frattura in coloro che assumevano per anni il farmaco, ma questo non era scritto in nessun articolo.

Per chiudere, una riflessione
Nel 1890 John Swainton, caporedattore del New York Times disse ai colleghi che festeggiavano il suo pensionamento «Non c’è nessuno fra voi che oserebbe scrivere quello che pensa onestamente.

Oggi l’attività del giornalista consiste nel distruggere la verità, nel mentire spudoratamente, per pervertire, umiliare, nell’onorare Mammona e vendersi per il pane quotidiano. Siamo strumenti, vasi di potenti che sono dietro le scene,

… Loro tirano i fili e noi danziamo. I nostri talenti, la nostre possibilità, le nostre vite sono di proprietà di costoro. Siamo tutti prostitute intellettuali»(7)


(1) Bach PB, Jett JR, Pastorino U, Tockman MS, Szensen SJ, Begg CB: Computed tomography screening and lung cancer outcomes. JAMA 2007 Mar 7;297(9):953-61. Cancer Screening. Seeing is not always relieving, Screening for lung cancer may do more harm than good the Economist mar 8th, 2007
(2)
http://www.economist.com/science/PrinterFriendly.cfm?story_id=8810972
(3) Gina Kolata Researchers Dispute Benefits of CT Scans for Lung Cancer New York Times march 7, 2007
(4) Carlo Brambilla Tumore al polmone, così si batte. Repubblica 7 marzo 2007 p 34
(5) Moynihan R, Bero L, Ross-Degnan D, et al. Coverage by the news media of the benefits and risks of medications. N Engl J Med 2000;342:1645-1650
(6) Steinbrook R. Medical journals and medical reporting. N Engl J Med 2000; 342: 1668-1671
(7) Citato in INDEX on Censorship, Vol. 30, No. 1, January 2001, p. 10.


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