Venti sempre più tempestosi annunciano guerra imminente. Seguono gli sviluppi delle azioni di Kim Jong-il dai fatti recenti.
Nonostante nel passato la stessa escalation rapida ha visto trasformarsi da una presa di potere di Hitler nel secondo conflitto mondiale, la comunità internazionale tentenna sul da farsi. In effetti la situazione è delicata e agire senza rompere i giochi politici/economici dei vari stati, è arduo.
Ai dittatori di qualunque regime, non passa minimamente l'idea che stati democratici, non sono capeggiati dall'individuo che li rappresenta e che dunque, non cambiano la linea d'azione in base a chi stà al governo, ma agiscono conformemente alla comunità che li ha votati.
Questi individui malati di potere e convinti della bontà delle loro azioni, solo cercano il tornaconto più proficuo e diretto, pensando che un male in più, possa portare solo beneficio alla popolazione che sovrastano, con buona pace delle vittime che questo comporta.
PYONGYANG - La sfida della Corea del Nord alla comunità internazionale non si ferma. Oggi Pyongyang ha effettuato un nuovo lancio di missile a corto raggio, all'indomani del lancio di altri due. E ha minacciato una risposta militare alla Corea del Sud dopo la decisione di Seul di aderire alla Proliferation Security Initiative (Psi), dichiarandosi di non sentirsi più legata all'armistizio del '53. Intanto i satelliti spia americani hanno accertato che è ripartito l'impianto nucleare -2.
In una dichiarazione diffusa dall'agenzia stampa ufficiale Kcna, l'esercito nordcoreano accusa il presidente sudcoreano di tradimento. "Come dichiarato al mondo, le nostre forze rivoluzionarie considereranno la piena partecipazione del gruppo di traditori di Lee Myung Bak nella Proliferation Security Initiative (PSI) - si legge nella dichiarazione con un riferimento all'iniziativa guidata dagli Stati Uniti - come una dichiarazione di guerra contro di noi".
Pertanto, la sicurezza delle navi sudcoreane e statunitensi non puo' essere piu' garantita nel tratto di mare prospicente al confine intercoreano aggiunge ancora la dichiarazione dettata alla Kcna. Con l'armistizio revocato, la penisola potrebbe tornare presto in uno "stato di guerra", ha aggiunto la missione militare nordcoreana nell'area comune di sicurezza della Zona demilitarizzata coreana.
L'agenzia sudcoreana Yonhap, citando una fonte anonima del governo di Pyongyang, ha riferito che il lancio del nuovo missile a corto raggio è avvenuto dalla costa orientale verso il Mar Giallo.
Il quotidiano sudcoreano Chosun Ilbo, citando una fonte anonima del governo di Seul, ha riferito che un satellite spia statunitense ha rilevato vapore uscire da un impianto nucleare a Yongbyon, generati dalla struttura di lavorazione del plutonio che si trova a 80 chilometri da Pyongyang. La Corea del Nord aveva già annunciato di aver riavviato le operazioni di ritrattamento del combustibile atomico a Yongbyon, in segno di protesta verso la condanna dell'Onu per il lancio del missile-satellite effettuato il 5 aprile scorso, che secondo i servizi Usa e sudcoereani era però il test di un nuovo missile nucleare.
L'ultimo atto della sfida al mondo è la dichiarazione di Pyongyang non sertirsi più legata all'armistizio del 1953, siglato alla fine della guerra di Corea. La notizia è stata diffusa dalla Kcna, l'agenzia ufficiale del regime. E' la risposta alla decisione del vicino di aderire all'iniziativa lanciata nel 2003 da George W. Bush per interdire il trasferimento di tecnologie e armi di distruzione di massa. Il regime di Kim Jong-il ha diramato una nota per avvertire che risponderà "immediatamente e con forti misure militari" ad una eventuale decisione del Sud di fermare e ispezionare navi nordcoreane.
Finora la reazione della comunità internazionale è stata ferma ma non sostanziale. Il Tesoro americano, dopo le dure parole di Obama sulle "conseguenze" inevitabili delle azioni di Kim, ha reso noto che sono allo studio nuove sanzioni al Paese, dove già vige un regime di isolamento assoluto imposto dal regime e la popolazione vive nella totale privazione dei beni di consumo più comuni. Ma il gruppo di lavoro dell'Onu incaricato di formulare una nuova risoluzione ha annunciato ieri sera che "occorre ancora del tempo" per arrivare a un pronunciamento definitivo.
Ad allarmare la comunita' internazionale e' anche la notizia che i satelliti spia americani hanno registrato immagini che mostrano come sia stata ripresa l'attivita all'impianto nucleare di Yongbyon, che era stato messo in disuso dalla Corea del Nord dopo la firma dell'accordo per la denuclearizzazione nel febbraio 2007.
Secondo quanto riporta il quotidiano Chosun Ilbo, l'impianto e' stato riaperto diverse volte in aprile e dall'inizio di maggio le immagini mostrano del fumo che proverebbe la ripresa dell'attivita' della produzione del plutonio destinato alle armi atomiche, precisa ancora l'agenzia sudcoreana Yonhap. Pyongyang aveva in effetti annunciato gia' lo scorso aprile la sua intenzione di riprendere la produzione del plutonio in risposta alle critiche arrivate dal Consiglio di Sicurezza al lancio di missili del cinque aprile.
Nonostante nel passato la stessa escalation rapida ha visto trasformarsi da una presa di potere di Hitler nel secondo conflitto mondiale, la comunità internazionale tentenna sul da farsi. In effetti la situazione è delicata e agire senza rompere i giochi politici/economici dei vari stati, è arduo.
Ai dittatori di qualunque regime, non passa minimamente l'idea che stati democratici, non sono capeggiati dall'individuo che li rappresenta e che dunque, non cambiano la linea d'azione in base a chi stà al governo, ma agiscono conformemente alla comunità che li ha votati.
Questi individui malati di potere e convinti della bontà delle loro azioni, solo cercano il tornaconto più proficuo e diretto, pensando che un male in più, possa portare solo beneficio alla popolazione che sovrastano, con buona pace delle vittime che questo comporta.
PYONGYANG - La sfida della Corea del Nord alla comunità internazionale non si ferma. Oggi Pyongyang ha effettuato un nuovo lancio di missile a corto raggio, all'indomani del lancio di altri due. E ha minacciato una risposta militare alla Corea del Sud dopo la decisione di Seul di aderire alla Proliferation Security Initiative (Psi), dichiarandosi di non sentirsi più legata all'armistizio del '53. Intanto i satelliti spia americani hanno accertato che è ripartito l'impianto nucleare -2.
In una dichiarazione diffusa dall'agenzia stampa ufficiale Kcna, l'esercito nordcoreano accusa il presidente sudcoreano di tradimento. "Come dichiarato al mondo, le nostre forze rivoluzionarie considereranno la piena partecipazione del gruppo di traditori di Lee Myung Bak nella Proliferation Security Initiative (PSI) - si legge nella dichiarazione con un riferimento all'iniziativa guidata dagli Stati Uniti - come una dichiarazione di guerra contro di noi".
Pertanto, la sicurezza delle navi sudcoreane e statunitensi non puo' essere piu' garantita nel tratto di mare prospicente al confine intercoreano aggiunge ancora la dichiarazione dettata alla Kcna. Con l'armistizio revocato, la penisola potrebbe tornare presto in uno "stato di guerra", ha aggiunto la missione militare nordcoreana nell'area comune di sicurezza della Zona demilitarizzata coreana.
L'agenzia sudcoreana Yonhap, citando una fonte anonima del governo di Pyongyang, ha riferito che il lancio del nuovo missile a corto raggio è avvenuto dalla costa orientale verso il Mar Giallo.
Il quotidiano sudcoreano Chosun Ilbo, citando una fonte anonima del governo di Seul, ha riferito che un satellite spia statunitense ha rilevato vapore uscire da un impianto nucleare a Yongbyon, generati dalla struttura di lavorazione del plutonio che si trova a 80 chilometri da Pyongyang. La Corea del Nord aveva già annunciato di aver riavviato le operazioni di ritrattamento del combustibile atomico a Yongbyon, in segno di protesta verso la condanna dell'Onu per il lancio del missile-satellite effettuato il 5 aprile scorso, che secondo i servizi Usa e sudcoereani era però il test di un nuovo missile nucleare.
L'ultimo atto della sfida al mondo è la dichiarazione di Pyongyang non sertirsi più legata all'armistizio del 1953, siglato alla fine della guerra di Corea. La notizia è stata diffusa dalla Kcna, l'agenzia ufficiale del regime. E' la risposta alla decisione del vicino di aderire all'iniziativa lanciata nel 2003 da George W. Bush per interdire il trasferimento di tecnologie e armi di distruzione di massa. Il regime di Kim Jong-il ha diramato una nota per avvertire che risponderà "immediatamente e con forti misure militari" ad una eventuale decisione del Sud di fermare e ispezionare navi nordcoreane.
Finora la reazione della comunità internazionale è stata ferma ma non sostanziale. Il Tesoro americano, dopo le dure parole di Obama sulle "conseguenze" inevitabili delle azioni di Kim, ha reso noto che sono allo studio nuove sanzioni al Paese, dove già vige un regime di isolamento assoluto imposto dal regime e la popolazione vive nella totale privazione dei beni di consumo più comuni. Ma il gruppo di lavoro dell'Onu incaricato di formulare una nuova risoluzione ha annunciato ieri sera che "occorre ancora del tempo" per arrivare a un pronunciamento definitivo.
Ad allarmare la comunita' internazionale e' anche la notizia che i satelliti spia americani hanno registrato immagini che mostrano come sia stata ripresa l'attivita all'impianto nucleare di Yongbyon, che era stato messo in disuso dalla Corea del Nord dopo la firma dell'accordo per la denuclearizzazione nel febbraio 2007.
Secondo quanto riporta il quotidiano Chosun Ilbo, l'impianto e' stato riaperto diverse volte in aprile e dall'inizio di maggio le immagini mostrano del fumo che proverebbe la ripresa dell'attivita' della produzione del plutonio destinato alle armi atomiche, precisa ancora l'agenzia sudcoreana Yonhap. Pyongyang aveva in effetti annunciato gia' lo scorso aprile la sua intenzione di riprendere la produzione del plutonio in risposta alle critiche arrivate dal Consiglio di Sicurezza al lancio di missili del cinque aprile.
La crisi è seria. Il mondo deve reagire e infatti il Consiglio di sicurezza ha già avviato le consultazioni per approvare una seconda risoluzione che dovrebbe proporre nuove sanzioni economiche. Ma il Palazzo di vetro, da solo, non riuscirà a piegare il leader supremo Kim Jong Il; perché la Russia, ma soprattutto la Cina non sembrano disposte ad approvare misure troppo dure. Ma non solo.
A decidere l’esito di questa crisi saranno ancora una volta gli Usa. E gli sguardi di tutti sono puntati su Obama, chiamato ad affrontare la prima vera crisi mondiale da quando si è insediato alla Casa Bianca. Fino a oggi i sorrisi, le promesse e a tratti persino le lusinghe, in Asia, in Europa, nell’America latina, in Africa sono serviti a migliorare l’immagine degli Usa. Ma non servono a fronteggiare un dittatore che guida un Paese dove decine di migliaia di persone muoiono di inedia. E che possiede la bomba atomica.
Altro che ammiccamenti, occorre una risposta forte, che a parole è arrivata. «Se la Corea del Nord vuole continuare a provocare la comunità, dovrà essere pronta a pagarne il prezzo», ha ammonito l’ambasciatrice statunitense all’Onu Susan Rice. Ma concretamente che cosa può fare Washington?
La risposta degli esperti dell’amministrazione è sconsolata: ben poco. Negli ultimi quindici anni è stato tentato di tutto. Clinton provò a blandire Pyongyang fornendo impianti per produrre energia nucleare e dal petrolio. Bush, all’indomani dell’11 settembre, citò la Corea del Nord tra i Paesi dell’Asse del male, al pari dell’Iran e dell’Irak di Saddam Hussein; quindi tentò di portarla al collasso imponendo dure sanzioni economiche e il sequestro dei beni all’estero di Kim Jong Il e dei suoi familiari.
Poi lo stesso Bush cambiò idea, imboccando la via del negoziato multinazionale, assieme alle potenze della regione e alle Nazioni Unite, che permise di raggiungere un accordo per lo smantellamento degli impianti nucleari, ora denunciato da Pyongyang.
Un’opzione ci sarebbe: gli Usa non hanno ancora applicato il blocco navale, sebbene sia stato autorizzato dall’Onu qualche anno fa. Ma Pyongyang ha fatto sapere che lo considererebbe un’aggressione e dunque un atto di guerra. È un bluff o fa sul serio? E dunque Obama è disposto a rischiare una crisi militare nel sud est asiatico che affosserebbe la speranza di una ripresa economica e lo costringerebbe a schierare le forze armate a difesa della Corea del Sud e forse anche del Giappone?
La risposta più probabile è no. E allora non resta che tentare ancora una volta il dialogo, alternando la carota e la minaccia del bastone. Con cautela, sedando le ansie di Kim Jong Il, che teme di essere spodestato e che vorrebbe approfittare di questa crisi per passare il potere al terzogenito. Il dittatore è malato, insicuro, ansioso; e dunque meno prevedibile. Un problema in più per Barack Obama.
A decidere l’esito di questa crisi saranno ancora una volta gli Usa. E gli sguardi di tutti sono puntati su Obama, chiamato ad affrontare la prima vera crisi mondiale da quando si è insediato alla Casa Bianca. Fino a oggi i sorrisi, le promesse e a tratti persino le lusinghe, in Asia, in Europa, nell’America latina, in Africa sono serviti a migliorare l’immagine degli Usa. Ma non servono a fronteggiare un dittatore che guida un Paese dove decine di migliaia di persone muoiono di inedia. E che possiede la bomba atomica.
Altro che ammiccamenti, occorre una risposta forte, che a parole è arrivata. «Se la Corea del Nord vuole continuare a provocare la comunità, dovrà essere pronta a pagarne il prezzo», ha ammonito l’ambasciatrice statunitense all’Onu Susan Rice. Ma concretamente che cosa può fare Washington?
La risposta degli esperti dell’amministrazione è sconsolata: ben poco. Negli ultimi quindici anni è stato tentato di tutto. Clinton provò a blandire Pyongyang fornendo impianti per produrre energia nucleare e dal petrolio. Bush, all’indomani dell’11 settembre, citò la Corea del Nord tra i Paesi dell’Asse del male, al pari dell’Iran e dell’Irak di Saddam Hussein; quindi tentò di portarla al collasso imponendo dure sanzioni economiche e il sequestro dei beni all’estero di Kim Jong Il e dei suoi familiari.
Poi lo stesso Bush cambiò idea, imboccando la via del negoziato multinazionale, assieme alle potenze della regione e alle Nazioni Unite, che permise di raggiungere un accordo per lo smantellamento degli impianti nucleari, ora denunciato da Pyongyang.
Un’opzione ci sarebbe: gli Usa non hanno ancora applicato il blocco navale, sebbene sia stato autorizzato dall’Onu qualche anno fa. Ma Pyongyang ha fatto sapere che lo considererebbe un’aggressione e dunque un atto di guerra. È un bluff o fa sul serio? E dunque Obama è disposto a rischiare una crisi militare nel sud est asiatico che affosserebbe la speranza di una ripresa economica e lo costringerebbe a schierare le forze armate a difesa della Corea del Sud e forse anche del Giappone?
La risposta più probabile è no. E allora non resta che tentare ancora una volta il dialogo, alternando la carota e la minaccia del bastone. Con cautela, sedando le ansie di Kim Jong Il, che teme di essere spodestato e che vorrebbe approfittare di questa crisi per passare il potere al terzogenito. Il dittatore è malato, insicuro, ansioso; e dunque meno prevedibile. Un problema in più per Barack Obama.
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